Natasha Masuli e Nicola Tessaro sono i designer di XSpace, una delle quattro installazioni presentate per la Udine Design Week 2021 ed esposte virtualmente per la mostra “Totem Semplicità Complesse”, accessibile sino al 10 maggio.
Semplicità e Complessità, due concetti dai significati contrapposti che per l’occasione rappresentano il trait d’union che lega la progettazione dei totem al contesto urbano.
Non a caso l’installazione rappresenta fedelmente la sintesi di questa dicotomia: la semplicità dell’oggetto di design, da un lato, e la complessità della relazione fra spazio interno ed esterno, dall’altro.
Un grande cubo collocato in Via Canciani (angolo Via Rialto) viene inserito all’interno del contesto urbano, quasi a voler creare un senso di estraniazione e disconoscimento rispetto ad alcune delle vie più conosciute e frequentate della città. In questo modo lo spettatore è invitato ad immergersi in un Mondo Altro distaccandosi dalla realtà quotidiana e vivendo il centro attraverso l’ausilio della realtà aumentata.
Un totem che fa riflettere su come i modi di abitare siano cambiati e su come questi debbano adattarsi alle esigenze della società, a maggior ragione dopo la pandemia che ha modificato molti degli aspetti del vivere cittadino.
Per l’occasione, abbiamo intervistato Nicola e Natasha per raccontarci qualcosa di più su XSpace. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Perché avete pensato di collocare in quest’area della città la vostra installazione? Vi è una ragione specifica magari dettata dalla storia del luogo, dall’importanza che ha o ha avuto in passato per il centro udinese?
L’installazione virtualmente ospitata in via Canciani è solo una delle quattro declinazioni che abbiamo ideato per la nostra interpretazione del tema “Semplicità Complesse”. Ogni cubo esprime una diversa percezione dello spazio ed è stato pensato per essere collocato in un preciso luogo di Udine che potesse esaltarne il significato. Il volume in prossimità dell’accesso a Galleria Bardelli non è a caso posto all’incrocio tra palazzi alti e ravvicinati che, se si alza lo sguardo, mostrano un suggestivo scorcio; esso presenta un pannello opaco all’altezza degli occhi, costringendo il suo fruitore ad interfacciarsi con l’esterno tramite una fascia trasparente alla base o mediante la copertura “libera”, dialogando dunque con il contesto secondo un differente punto di vista. Tale gioco di percezioni è volto ad evidenziare come, soprattutto in questo particolare momento, l’importanza dello spazio esterno sia stata rivalutata.
Raccontateci il concept dell’installazione. Da dove nasce l’idea? Come avete ragionato affinché la dimensione astratta si coniugasse a quella urbana in funzione di un inserimento conforme al contesto?
L’idea è stata quella di individuare un elemento, un volume apparentemente semplice che potesse però racchiudere al suo interno un significato complesso. Come il monolite nel film “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick, un cubo asettico è calato nel contesto architettonico udinese per destare estraniamento e curiosità negli spettatori, i quali sono idealmente chiamati ad interagire con esso e a relazionarcisi per indagare la percezione dello spazio tramite questo elemento. Quattro le declinazioni della relazione tra spazio interno e spazio esterno, espresse tramite un trattamento diversificato delle superfici del cubo e una collocazione spaziale che ne esalti le ragioni.
In via Nicolò Canciani attraverso un’unica apertura verticale ci si immerge in una sequenza di immagini rappresentanti gli interni di alcune tra le più celebri case d’abitazione del XX secolo. Le proiezioni sulle pareti mostrano come negli anni gli spazi domestici siano mutati e si siano adattati alle nuove esigenze della società, portando l’interlocutore a riflettere su come i modi dell’abitare stiano radicalmente cambiando durante la pandemia.
In piazza Libertà una volta entrati nell’installazione si può interagire con lo spazio circostante attraverso le differenti bucature (finestre, tende). Queste mettono in collegamento l’interno con l’esterno aprendosi a determinati scorci, come per esempio il porticato della loggia o il campanile del duomo.
In piazza Giacomo Matteotti le azioni del fruitore vengono letteralmente “messe in piazza”, infatti il cubo presenta una finitura specchiata all’interno mentre è trasparente all’esterno. Con questi giochi di riflessioni e trasparenze si vuole far meditare su come al giorno d’oggi gli spazi domestici assumano accezioni polivalenti, costringendoci a mostrare il nostro spazio privato al mondo esterno.
Nella fase di ideazione e progettazione del totem, e ragionando in prospettiva futura, avete pensato alla possibilità che l’installazione possa realizzarsi concretamente? Richiederebbe degli accorgimenti per adattarsi al centro urbano?
La proposta progettuale ha sempre tenuto conto di una concreta realizzazione e tale ipotesi è stata portata avanti ragionando anche sulla base delle accortezze prese lo scorso anno durante l’esperienza di Window Shopping Contest. Abbiamo prestato attenzione a come il pubblico avrebbe interagito con l’installazione, tenendo conto: della necessità di una chiara visibilità dell’oggetto, che quindi non rischiasse di essere urtato inconsapevolmente o fosse da ostacolo per i fruitori del centro storico udinese, di una fruizione e
permeabilità priva di barriere architettoniche e di una riduzione al massimo dell’interazione tattile per ovviare problemi di igienizzazione delle superfici.
Sempre ragionando sulla possibile realizzazione dell’oggetto, quali materiali utilizzereste? Come ragionereste in termini di rapporto coi cittadini? Vi immaginate una sua funzione particolare oltre a quella estetica?
Da un punto di vista tecnico abbiamo immaginato la forma semplice costituita da un telaio metallico strutturale rivestito da pannelli appesi in polimetilmetacrilato opaco, trasparente e specchiato, il che consente la costruzione in sede e poi il trasporto e deposito dei volumi come elementi prefabbricati o di un assemblaggio in loco. Piuttosto che un impatto prettamente estetico ci siamo concentrati sul rapporto che questo genere di installazione enigmatica potesse instaurare con i cittadini, infatti la ricchezza progettuale è ricercata nella sua complessità di interpretazione e non nella sua forma.
Il supporto della tecnologia ha sicuramente mutato l’esperienza di fruizione rispetto a mostre ed eventi culturali. Lo abbiamo visto con questa mostra “Semplicità Complesse” ma numerosi sono gli esempi in giro per il mondo. Come pensate che la tecnologia possa modificare il modo di ideare e nel contempo di fruire di esperienze culturali di questo tipo?
È sufficiente guardarsi intorno per rendersi conto di come la tecnologia sia diventata uno strumento prezioso e che sta prendendo piede nel settore delle attività creative e culturali. Ne è un esempio la mostra itinerante “Van Gogh Alive”, che consente di realizzare un’esposizione d’arte senza dover necessariamente disporre delle opere fisiche: un abbattimento delle barriere spazio-temporali grazie alla proiezione delle più celebri pitture dell’artista olandese sulle pareti di un comune spazio libero.
Oppure, come nel nostro caso, portare l’esperienza direttamente all’interno delle abitazioni, eliminando del tutto la figura del museo vero e proprio, e ridurre in questo modo il consumo di suolo e l’impatto sull’ambiente. Infine, “You are Leo”, una mostra in cui il visitatore con l’impiego di un visore può guardare la Milano del Quattrocento attraverso gli occhi di Leonardo da Vinci, rappresenta un ulteriore esempio in cui la tecnologia si combina sapientemente con la realtà producendo un cocktail unico e travolgente.
Si può dunque affermare che, senza dubbio, la tecnologia sia una risorsa talmente versatile da poter essere declinata in modi diversi contribuendo così a portare l’esperienza delle mostre e degli eventi culturali ad un livello superiore, stravolgendo definitivamente la concezione del museo tradizionale.
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