“Can you see me? All of me? Probably not. No one ever really has.”
Luci basse, la scritta MDLSX proiettata sul fondale del palcoscenico, da un lato. Dall’altro un oblò, inizialmente vuoto, viene animato da un’adolescente imbarazzata, ad un karaoke. Mentre il pubblico è rapito dai fotogrammi, dal centro della platea entra in scena Silvia Calderoni: nella penombra della sala, quella figura ossuta dalla capigliatura acromatica pare quasi irreale. Sale sul palco, cambio musica: partono gli Yeah Yeah Yeahs.
MDLSX è un viaggio, a tratti quasi allucinogeno, nel mondo fluido dell’identità di genere
MDLSX è un viaggio, a tratti quasi allucinogeno, nel mondo fluido dell’identità di genere targato Motus. L’utilizzo del masterpiece Middlesex di Jeffrey Eugenides, nel titolo così come in parte del testo drammaturgico, è però solo uno dei tasselli di un discorso più ampio e complesso, la cui forza motrice primigenia è la stessa artista ed il suo vissuto, diretta da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. La protagonista all’inizio si chiama Calliope, poi cambia e alla fine si chiama Cal. E questo cambiamento è la sua storia. Fiction e realtà si fondono in un unicum di parole che prendono alla sprovvista lo spettatore: in scena una sola figura sembra dissociarsi e ricomporsi in una moltitudine di esseri, di discorsi, di generi. Ed è proprio questo forse l’elemento più potente ed esplicativo della liquidità di genere, ancor più dei simbolismi evidenti con fiori e laser: l’indistinzione, il non trovare differenze in ciò che a priori si riconosce come differente, e che poi si rivela non esserlo.
Quando l’azione inizia, dopo i video di Silvia, sull’oblò viene proiettata la ripresa dal vivo di una telecamera che la Calderoni tiene in mano, come una lente d’ingrandimento per il pubblico. L’uso della telecamera, non è tanto quello di una webcam di un vlogger, ma è più simile a quello di una telecamera dei video amatoriali dei genitori o a quello di una telecamera che un medico usa per studiare le proprie cavie-pazienti. La telecamera viene usata per esaminare l’aspetto dell’attrice, in ogni particolare, narrando le trasformazioni del corpo del personaggio Cal.
La voce e il corpo della Calderoni sono due elementi che presi singolarmente basterebbero a fare uno spettacolo completo. L’attrice si muove furiosamente sul palco con il microfono o la telecamera in mano, sembra quasi esplodere, ma i movimenti sono anche precisi e calibrati da una grazia adolescenziale in armonia con il personaggio interpretato. Quando si ferma si rivolge al pubblico con una voce intensa e cristallina che risulta ipnotica e coinvolgente. Basterebbe questo per rendere lo spettacolo un’esperienza imperdibile: è impossibile non esserne rapiti.
Sul palco c’è un tavolo pieno di dispositivi, devices, computer, telecamera, microfoni, luci, sensori, utilizzati nelle varie scene in modo coreografico, in continuità con il corpo dell’ attrice. Oggetti di scena che definiscono il modo con cui lo spettatore vedrà la scena o come sentirà la voce dell’attrice.
Ventidue brani scandiscono l’ora e venti di spettacolo, in completa sinergia con la corporalità della perfomer e la potenza dei testi letti: gli Air, Donna Haraway, i Talking Heads, Beatrix Preciado, Vampire Weekend, REM. Lo spettacolo, per il ritmo, per la colonna sonora, potrebbe benissimo essere un potente dj-set con visuals d’eccezione, ma purtroppo il pubblico è seduto su delle poltrone.
All’inizio dello spettacolo si era visto una Silvia adolescente dire alla madre che al suo funerale non vorrà preti, ma solo canzoni degli Smiths. Lo spettacolo si chiude con Please, please, please, let me get what I want.
Good times for a change
Gli applausi durano a lungo, nel teatro che ha registrato il tutto esaurito c’è una standing ovation. Anche per questo consigliamo a chi volesse assistere allo spettacolo del 13 febbraio di prenotare i posti.
Durante l’incontro con il pubblico gli studenti dell’ Accademia d’ Arte Drammatica Nico Pepe hanno mostrato interesse per la tecnica recitativa, la Calderoni è stata molto disponibile a discutere il processo artistico-emotivo necessario ad interpretare il suo ruolo. Dopo la breve lezione le domande degli spettatori laici hanno palesato la necessità di ricevere una morale che non hanno trovato nella drammaturgia, nonostante Silvia Calderoni avesse appena dichiarato “non cerchiamo di insegnare qualcosa”. A dimostrazione del fatto che c’è ancora bisogno di questo teatro senza paternalismi, in grado di comunicare solamente ad un livello artistico-narrativo, e che ce ne sarà ancora bisogno per qualche tempo.
Ecco la recensione dello spettacolo per le date di New York: New York Times: MDLSX by Motus e la recensione di Carlo Selan sul blog di TX2: Carlo Selan MDLSX a Udine
MDLSX di Motus, con Silvia Calderoni
regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
durata 1 ora e 20 minuti
al Teatro S. Giorgio – Udine
12 febbraio ore 21
13 febbraio ore 21.30
[Teatro Contatto]