Dissonanze \\ Udine anche questa volta non ci delude. Al bar del Visionario abbiamo avuto l’occasione di ascoltare Cosmo, cantautore italiano che dal 2012 fa parlare di sé in giro per l’Italia e non solo.
Dissonanze Udine è un circuito regionale di musica di ricerca e innovazione e avrà luogo tra il 2015 e il 2016 in alcuni luoghi chiave della musica a Udine, come il circo Cas*Aupa, il Teatro S. Giorgio e il Teatro Palamostre. Creazione di un network innovativo tra i soggetti che operano nel mondo culturale del territorio udinese. Dissonanze porta dentro di sé il concetto di sperimentazione, nella musica, nelle proposte culturali e anche nelle relazioni tra i soggetti coinvolti, insieme, in una rassegna ampia e articolata, con l’entusiasmo delle prime volte, combinata con l’esperienza maturata dagli anni di lavoro dei singoli.
La serata di domenica 17 aprile, organizzata in collaborazione con CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Must, C.E.C. Centro Espressioni Cinematografiche , Circolo Arci Cas’aupa e Dna concerti ha come protagonista Cosmo, nome d’arte di Marco Jacopo Bianchi (Ivrea, 1982) conosciuto come frontman dei Drink to me. Nel 2013 pubblica il suo primo album da solista, Disordine, e qualche giorno fa, l’8 aprile, presenta L’ultima festa per 42 Records con distribuzione Master Music e Believe. Il tour dell’album è iniziato da Foligno, è passato per Napoli e Pordenone e, ieri sera, è arrivato a Udine. Le prossime date saranno a Carpi, Bari, Pesaro, Messina, Roma e Milano al Miami Festival. Come tutta Udine anche noi eravamo al Visionario per ascoltare il concerto di Cosmo e, poco prima dell’inizio dello spettacolo, Alessandra Conte l’ha intervistato:
Ciao Marco, sei conosciuto come Cosmo dal 2012 quando hai reso disponibili gratuitamente sul web le cover di Battiato e Battisti. Questi due nomi sono stati influenti sulla tua musica? Come mai? Hai altre influenze importanti?
Sì, sono stati importanti, soprattutto all’inizio perché quello che avevo in testa era appunto fare un collegamento con quel tipo di canzoni italiane. Battisti e Battiato come sperimentazione del suono sono entrambi due che ho sempre ammirato. Diciamo che volevo legare questo loro spirito con cose più contemporanee.
Adesso in realtà sto partendo per la tangente per cercare una mia strada senza pretese, Battisti e Battiato sono serviti soprattutto nel primo disco, adesso li citerei meno. È vero che se ascolti le canzoni vengono anche adesso fuori le somiglianze. Insieme a loro sono venuti fuori anche Carboni e Raf. Attualmente con questo disco volevo riprendere di più le canzoni dance e pop, quindi di autorato c’è poco. Sono autore come lo può essere Jovanotti, che non è considerato tale perché è un artista pop e io mi sento più come lui che un cantautore.
Per me la stella polare per fare questo disco è stato un ambiente più tecno e dance, quindi mi sono allontanato, per quanto l’ammiri ancora, da M.I.A. che è stata molto influente nel disco di tre anni fa.
Nel 2013 con il tuo primo album solista sei stato inserito tra i finalisti della Targa Tenco, come hai vissuto questa esperienza?
Non mi ha influenzato molto, sapevo già di non vincere perché sia io e che l’etichetta siamo stati inseriti dalla stampa nel cantautorato perché sì, c’è una vena autoriale, soprattutto nel pezzo “Le Cose più rare”, ma sapevo già di essere fuori luogo lì. Sono troppo elettronico quindi l’ho vissuto in maniera bella, ma, suonando da tanti anni, non mi esalto se mi succede qualcosa del genere.
Durante lo stesso anno ti è stato assegnato il Premio aKME per l’innovazione nel campo musicale. Questo premio ha influenzato i tuoi lavori successivi? Cosa ne pensi dell’innovazione musicale italiana? Anche in questo campo stiamo inseguendo il resto del mondo con qualche anno di ritardo?
Questo sì mi ha fatto piacere anche se è un premio piccolo e circoscritto. Forse stiamo inseguendo il resto del mondo, bisogna trovare una nostra identità ed è dura, perché devi fondare le radici nella tradizione italiana quando in realtà già da Celentano in poi era influenzata dagli americani e dagli inglesi.
Non so, sicuramente in questo periodo sono uscite delle cose interessantissime in Italia quindi secondo me siamo a un ricambio generazionale e mi farebbe piacere farne parte. Secondo me è ora di cambiare.
Quello che all’estero va molto a livello italiano, a parte la Pausini è proprio la tecno. C’è un movimento al di fuori di quello che ho sempre frequentato io, ma non dimentichiamoci che anche con la musica dance anni ’90 l’Italia ha insegnato molto all’estero. Non so, forse laddove pensi che la musica italiana non abbia le risorse ne ha più di quanto si possa pensare e invece se vai a considerare la canzone (mi ci metto dentro anche io), siamo a livelli… chissà. Non sono anti-italiano e pessimista, anche quando ho suonato all’estero con il mio gruppo scendevo dal palco e capivo che eravamo all’altezza, se non di più. Il problema probabilmente sono i network le tv che rischiano un po’ poco. Per dire non abbiamo un programma come il Letterman, quello che si avvicina di più è “E Poi C’è Cattelan” però su Sky. Mentre i Night Live Show sono diversi, hanno dei musicisti che spaccano, lì la cultura musicale è grande rispetto all’apertura mentale. Qui mancano quelle cose grosse. Se ci pensi le radio più avanti in Italia sono Radio2 e Radio Deejay.
Nel nuovo disco “L’Ultima Festa” sembra che tu ti rivolga più direttamente a noi ascoltatori. È cambiato qualcosa nel tuo approccio alla scrittura dei testi e nel rapporto con l’ascoltatore? Quanto c’è della tua vita in questo disco?
Parecchio. Si è cambiato sicuramente, hai azzeccato in pieno, volevo essere più comunicativo e avevo delle cose da dire che ho potuto esprimere dicendo quello che volevo dire, anche mettendo di mezzo la mia dimensione più privata. Nonostante io sia una persona molto riservata, anche sul web, racconto più sinceramente cosa faccio, cosa sento. Anche terra terra proprio.
Quando scrivi le tue canzoni a che pubblico pensi? Ci immagini mentre ascoltiamo le tue canzoni in discoteca ballando oppure alle cuffiette mentre viaggiamo in autobus? Molti ascoltatori sono ragazzi delle superiori o universitari, fasce di pubblico molto difficili da raggiungere. Pensi sia possibile la comunicazione tra generazioni così diverse?
Ce l’ho il pubblico così giovane? Davvero? Lo spero tanto, io voglio i giovani anche perché insegno storia contemporanea a ragazzi tra i 14 e i 16 anni, però sinceramente non mi sono mai illuso di poter entrare nel cuore di un adolescente perché hanno bisogno di qualcosa di più diretto e forte, cose dette non dette. La mia è una poetica più smussata quindi più legata a comunicare con i ventenni.
Gli adolescenti sono vivi con i loro errori e quant’altro. Vorrei davvero averli come pubblico, adoro tutta la spontaneità e l’energia. Anche l’ignoranza e gli ignoranti, voglio bene ai miei allievi e io non mi sento mai superiore a loro dal punto di vista culturale. Per il resto, il pubblico che vorrei è entrambi sia quello da discoteca che quello che mi ascolta in autobus con le cuffiette.
“L’Ultima Festa” è un disco divertente che fa ballare e cantare, può essere che nella musica indipendente italiana ultimamente si faccia fatica a creare delle canzoni che ci divertano spensieratamente?
Eh sì, penso che un disco come il mio, soprattutto certi pezzi come “L’Ultima Festa”, non so chi sarebbe in grado di produrlo. Non a livello tecnico o d’idea, ma chi ha il coraggio di fare un pezzo pop così stupido? C’è il fatto che l’indie deve sempre un po’ avere questa posa da preso male, c’è un po’ questa cosa qua, secondo me. Se mi prendo male è perché decido di farlo e voglio parlare di certi argomenti. Invece io volevo fare un disco che fosse “Sto bene, stiamo bene insieme, stai bene insieme a me”.
Video-resoconto del concerto gentilmente concesso da Dissonanze a cura di Luca Virili
La copertina de “L’Ultima Festa” è una composizione basata su una fotografia analogica che ricorda molto l’archetipo della “fotografia dei genitori da giovani in spiaggia”. Cosa ci puoi dire di questo richiamo al passato? È legato anche alla scelta della stampa limitata di 200 copie in vinile del disco? Cosa ne pensi di questo ritorno al analogico che sta prendendo mano tra i gruppi indipendenti e meno?
No. La stampa del vinile è una cosa per una parte di pubblico che richiede sempre di più quel supporto, non è legato alla scelta dell’artwork. Per quanto riguarda l’artwork stavo cercando delle idee per l’album e tra le foto ho trovato questa di mia madre a 16 anni scattata da mio padre diciassettenne, allora l’ho presa, ci ho lavorato dietro con un pattern trash e ho trovato la chiave: essendo un disco personale metto foto della mia famiglia e delle mie radici e ci gioco a livello ironico mettendoci degli sfondi trash incredibili. Non c’entra il supporto con la grafica e viceversa, sono 200 copie che stanno finendo. In questo disco ho fatto tutto io: registrato, mixato, scritto, ho fatto l’artwork, ho prodotto il live e ho studiato lo spettacolo delle luci. Ho lavorato per tre mesi continui, infatti due settimane fa ero al limite con i nervi, l’ho portato fino al limite: il disco è nato, le canzoni sono nate e ci ho goduto, mi sono divertito molto. Lo percepisco come il miglior lavoro che ho fatto in vita mia, musicalmente sono molto contento. Mi guardo allo specchio e dico “Ok, ho fatto il lavoro che mi piace, in cui mi rifletto e sono completamente soddisfatto”.
L’Ultima Festa di Cosmo è disponibile su Spotify, Deezer, Apple Musica, Google Play, Amazon MP3
Potete acquistare una delle ultime copie del vinile 42 Records, e CD 42 Records.
L’intervista a Cosmo è stata resa possibile da