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Dove eravamo rimasti? Dopo le battaglie è il turno dei Cani. Il gruppo di Niccolò Contessa apre il suo tour primaverile al NewAge di Roncade e qualche giorno prima del concerto è già confermato il tutto esaurito. Sold-out previsto per praticamente tutte le date di questo tour di accompagnamento dell’uscita del nuovo LP: Aurora. E’ il terzo album dell’ennesimo gruppo pop di Roma (come Contessa stesso presenta il suo brainchild), ma qualcosa è cambiato: laddove i primi due album presentavano arrangiamenti essenziali vicini al punk, con testi ricchi di riferimenti fin troppo toponomastici alla capitale, “Aurora” ha un taglio più globale. La maggiore maturità in fase di produzione è evidente: la distorsione è meno ubiqua, le percussioni meno casiniste, gli arrangiamenti funkeggianti di alcuni pezzi inaspettati.

I Cani, che ormai da qualche anno hanno il coraggio di esibirsi senza busta sulla faccia.

I Cani, che ormai da qualche anno hanno il coraggio di esibirsi senza busta sulla faccia.

Per il concerto non è prevista band d’apertura, nell’attesa ci sentiamo in un forno, in cui un ventilatore solitario scandirebbe pure il tempo che manca all’inizio del concerto, se solo una riuscisse a contare il numero di giri al minuto che compie. Ma eccoli, questi cani! La band entra in scena sulle note di “Ultimo Mondo”, pezzo strumentale che ricorda molto una colonna sonora di Vangelis. Il live inizia con un pezzo malinconico come “Baby soldato”. Ma l’atmosfera è già movimentata. Segue “Protobodhisattva”, in cui visioni auliche e triviali sulla natura umana si rimbalzano l’un l’altra. Con involontaria ironia, proprio mentre il refrain rieccheggia “Siamo un animale strano, la scimmia vestita”, il “pogo” tra il pubblico raggiunge livelli tali da costringermi a concentrarmi sul sopravvivere.

Mi prendo ancora qualche brano per decidere definitivamente di guadagnare le retrovie, cosa che mi permette di essere qui a scrivere di questa serata. Anche perché, lasciati sfogare “i ragazzi” con “Le Coppie” e “Asperger”, Contessa inizia a snocciolare i pezzi più introspettivi che sono evidentemente più suoi. Lo horror vacui di “Sparire”, il susseguente tentativo di superare l’auto-ossessione, che ne è la naturale causa, in “Calabi Yau”. I demoni che tali pezzi evocano vengono simbolicamente esorcizzati nel finale quando Contessa decide di concedersi una dose di crowd-surfing.

Il set principale si conclude (sempre con sottile ironia) con il singolo “Non finirà”. Ma il bis è tassativo, e ci si saluta definitavemente solo con “Lexotan” ed il suo messaggio di speranza per il futuro: “Non avrò bisogno delle medicine, degli psicofarmaci, del lexotan”, e noi ci speriamo pure. Il messaggio che il concerto lascia a me, che lo devo recensire, è che i Cani sono una realtà ormai, che etichette come alternativi ed underground sono ormai inadeguate. Servirà tempo per capire quali nuove inevitabili etichette dovremo andare ad applicare.

Intanto applichiamo del riposo alle membra in B&B qui vicino, l’indomani si camminerà parecchio tra le opere di Escher, a cui dedicheremo la terza puntata di queste cronache.

Articolo di Marlene Escher (blog)

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