“30 luglio 1983: Palermo come Beirut” titolavano così i principali quotidiani. Il ricordo dell’uccisione brutale del giudice Chinnici, 9 anni dopo, lo scenario apocalittico della strage di Via d’Amelio – 19 luglio 1992 – la morte del giudice Borsellino. Tutto questo Letizia Battaglia lo sa, l’ha vissuto sulla sua pelle, l’ha impresso prima ancora che nei suoi scatti, nella sua memoria, arrivando persino a detestare i propri negativi, a volerli bruciare per allontanare quel dolore lacerante.
Con uno spirito di sincera gratitudine il Centro di Ricerca e Archiviazione fotografica (CRAF) le rende omaggio permettendo che un importante spaccato di storia possa fissarsi nuovamente nella coscienza di migliaia di italiani. Dal 1 luglio al 3 settembre nella cornice di Palazzo Tadea (Spilimbergo) potrete visitare la personale di Letizia Battaglia: gli scatti sull’atrocità dei delitti di mafia, la durezza nei volti delle donne palermitane, l’amata-odiata Palemmu.
In occasione del Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia (31°edizione), intervistata da Michele Smargiassi, prima ancora che fotografa Letizia Battaglia si presenta come donna.
Il suo essere donna riecheggia nelle sue parole, nel suo modo di giocare con la sigaretta, di studiare attentamente l’interlocutore che ha di fronte. Mentre ascolto la sua intervista, osservo la gestualità delle sue mani ed ammiro il magnetismo da abile oratrice, capace di misurare ogni parola con discreta ma curata attenzione. I fatti di cui racconta, il suo impegno sociale contro il virus della malavita, sono certamente testimonianze di una storia recente che ancora oggi lascia all’Italia una ferita profonda ma non incurabile.
Viene voglia di lasciarsi incoraggiare dalle sue parole forti, dense di vita vissuta, con le quali cerca di esprimere l’incisività dei suoi scatti:
<< Sono una fotografa del dolore ma sento anche la bellezza. Sì. Ho raccontato il disagio, la ricchezza sfrenata, insostenibile >>.
E’ difficile riassumere Letizia Battaglia in un’unica definizione: la sua vita è stata, ed è tutt’oggi, ricca di innumerevoli sfaccettature. Prima giornalista freelance, poi reporter, fotografa, regista, politica, attivista sociale. Ciò nonostante non le piace essere etichettata come icona né tanto meno come “fotografa di mafia”: << Che vuol dire? Non mi piace perché ho fotografato con molto più piacere le donne, le bambine, Palermo >>.
Le fanciulle per i viali cittadini sono uno dei tanti racconti che si aggiungono alla narrazione della sua Palermo: in numerose interviste parla di un rapporto quasi simbiotico con queste ragazzine. Negli occhi di quella piccole donne non ha mai negato, infatti, di vedere riflessa la sua persona:
<< Quelle bambine sono Io. (…) sono serie, sono bambine che non tradiscono ma hanno il sogno dentro >>
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, all’età di 10 anni, si trasferisce da Trieste a Palermo.
Ricorda affettuosamente il periodo triestino in particolare il suo girovagare per la città libera e spensierata sulla sua bicicletta. Il trasferimento in Sicilia segna profondamente l’infanzia di Letizia: all’età di 16 anni si sposa giovanissima, un matrimonio lungo la mette nella condizione di compiere un passo in avanti, di saltare nel vuoto, di abbandonare la rigidità dei dettami che la volevano solo moglie e madre. A 39 anni il grande balzo: decide di abbandonare nuovamente la Sicilia e di giungere a Milano. Verso la fine degli anni Sessanta inizia il sodalizio con il giornale palermitano, l’Ora. Scrive come giornalista freelance, fotografa per necessità, per mantenere sé stesse e le sue figlie ma è proprio in questo periodo che si accorge della formidabile potenza della macchina fotografica. Siamo nel 1974: Letizia Battaglia è la prima donna a collaborare come fotografa per un quotidiano.
Letizia Battaglia non ama la canonicità della bellezza né tanto meno il consumismo estetico della fotografia. Quando parla della sua città, Palermo, usa l’ossimoro di “bellezza che puzza”. La metafora è quella di una Palermo che “puzza splendidamente” o, per meglio dire, di una bellezza che odora di un passato lacerato e di un realismo disperato. Gli scatti dei delitti di mafia, le celebri immagini dell’uccisione di Cesare Terranova, presidente della commissione antimafia a Roma, di Piersanti Mattarella assassinato da Cosa Nostra durante la presidenza della regione Sicilia, il ritratto di Rosaria Costa, giovane moglie di Vito Schifani, vittima della Strage di Capaci, avversano contro la brutalità della mafia; sono un manifesto di protesta con cui sollevare una riflessione profonda su ciò che è stata la realtà palermitana, sull’onorabilità di uomini coraggiosi che sono stati, prima ancora che simboli di giustizia, figli, mariti e padri.
Articolo a cura di Chiara Tomè
LETIZIA BATTAGLIA (31°edizione – FRIULI VENEZIA GIULIA FOTOGRAFIA 2017)
A cura di Letizia Battaglia
1 luglio – settembre
Palazzo Tadea, Spilimbergo
INGRESSO LIBERO
MATTIA BALSAMINI (31° edizione – FRIULI VENEZIA GIULIA FOTOGRAFIA 2017)
A cura di Mattia Balsamini
1 luglio – 3 settembre
Palazzo Tadea, Spilimbergo
INGRESSO LIBERO