Il FEFF (Far East Film Festival) è ormai giunto al termine. Vogliamo ricordare com’è iniziato tutto, la scorsa settimana qui a Udine, nelle giornate dal 22 al 30 aprile 2016. Giornate che hanno unito la cinematografia ad una serie di eventi, mostre, workshop e conferenze con l’intento di portare l’Oriente in città.
L’Opening night del 22 aprile ha avuto inizio con il film d’apertura “The Tiger” kolossal sudcoreano del regista Park Hoon-jung.
Per kolossal si intende un film il quale vede un notevole impiego di mezzi e di attori, accompagnato da effetti speciali e scenografie maestose. “The Tiger”, queste caratteristiche, le rispetta tutte.
Siamo nel 1925: l’occupazione giapponese del territorio coreano fa da sfondo agli eventi. Il film narra la caccia all’ultima tigre coreana sul monte Jirisan, in Corea. L’animale, definito “Signore della Montagna” (in caratteri 山主, Shān=montagna Zhǔ=Signore, Lord), rappresenta un simbolo di fierezza coreana. I giapponesi, con la caccia dell’animale, vogliono distruggere l’ultimo residuo di un possibile vanto patriottico coreano.
Il compito viene affidato da un alto ufficiale imperiale giapponese, Ren Osugi, a Ryu; egli è a capo di un gruppo di cacciatori del posto, a sua volta capitanati da Goo-Gyeong. Sul monte, infatti, è ancora permessa la sopravvivenza ai cacciatori coreani, purchè si attengano agli ordini giapponesi.
La ricerca della feroce bestia non porta però ai risultati sperati: sono solo la compagna e i due cuccioli del “Signore” a rimanere vittime della spietata caccia.
La difficoltà nello scovare la tigre è amplificata dalle condizioni atmosferiche che i cacciatori sono costretti ad affrontare. L’inverno, il freddo, la neve. Non si tratta di una semplice battuta, è una vera e propria lotta alla sopravvivenza.
Il “Signore della Montagna” non viene inquadrato da subito. Questo crea nello spettatore una certa suspance, una curiosità che gli impedisce di staccare gli occhi dallo schermo. Si assiste ad una caccia spietata ad una tigre ancora “nascosta”, introvabile, che non si fa vedere se non per le tracce che lascia fra la neve e le vittime sanguinanti che ha sbranato.
Solamente l’abile e famoso cacciatore Chun Man-Duk sarebbe in grado di arrivare a lei. L’uomo, rimasto vedovo, ora vive isolato nelle montagne assieme al figlio Suk-Yi, dove trascorrono la loro triste vita a raccogliere erbe medicinali. L’attività della caccia l’aveva abbandonata da anni ormai.
Tuttavia sarà proprio lui a diventare il vero protagonista dell’inseguimento alla bestia.
Il figlio, il quale vedeva nella caccia, ma soprattutto nella ricompensa che ne sarebbe derivata dall’uccisione della tigre, un modo per sfuggire dalla povertà e dalla monotonia, attratto dalla speranza di una vita in città, prende parte alla battuta.
Al fine di tutelarlo, sarà proprio lo spirito paterno ad obbligare Chun Man-Duk a partecipare alla spietata ricerca.
Compare per la prima volta il “Signore della montagna”: i suoi primi piani rendono interamente la sua ferocità. Una tigre che, seppur realizzata a computer, dimostra una spietatezza unica, in tutta la naturalezza di un animale selvatico.
Fotografia unica e paesaggi mozzafiato. Il film è molto coinvolgente. Attraverso i flashback di Chun Man-Duk, lo spettatore riesce a sentirsi vicino a lui, a percepire i suoi sentimenti e le sue emozioni, derivanti da un passato segnato dalla morte della sua amata. I tempi del film sono piuttosto dilatati e il finale risulta difficilmente credibile.
Tra i titoli del cinema occidentale è naturale pensare ad una connessione con il film di Alejandro González Iñárritu “Revenant-Redivivo” (2015): una storia di sopravvivenza e di caccia al gelo, in un’ambientazione spazio-temporale differente.
Il giorno successivo, durante la mattina del 23 aprile, Park Hoon-jung ha tenuto un Talk presso il Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Durante il suo intervento, il regista coreano ha spiegato il perché della scelta della tigre, del monte Jirisan, dimostrando inoltre come la tecnica cinematografica coreana, presentendo nel suo film una tigre realizzata completamente in CGI, ossia a computer, si sia fortemente evoluta.
Articolo e foto di Sara Campagnolo (contatto)