Every Day a Good Day è il film di Omori Tatsushi, del 2018, basato sui saggi di Morishita Noriko, presentato il 28 aprile 2019 al Far East Film Festival, che ci permette di esplorare ordinatamente il piccolo mondo della cerimonia del tè. È risaputo che la cerimonia del tè, vista dagli occhi dei turisti, è uno dei momenti in cui la cultura giapponese si manifesta più elegantemente, tuttavia anche partecipandovi, è possibile avere solamente un’idea riduttiva della sua complessità e del suo significato.
Every day a good day (ogni giorno è un buon giorno, nonostante tutto) è un motto che, nel film, compare su un kakejiku, un rotolo di pergamena appeso alla parete della sala da tè, ed esprime completamente quello che la cerimonia vuole essere: un punto immutabile della vita per i suoi partecipanti, in cui ritrovare se stessi e la serenità nonostante tutto. Ma come si genera questo punto immutabile?
L’espediente cinematografico utilizzato per narrare la cerimonia è il racconto della vita della giovane Noriko, una ragazza timida, metodica e impacciata, che, una volta finita la scuola, non riesce a trovare la convinzione per affrontare la propria carriera da scrittrice, limitandosi a tentare, senza convinzione, diverse carriere professionali. Di fronte a questi piccoli insuccessi, Noriko, ritrova se stessa nelle lezioni di tè. Proprio così, esiste un corso per imparare la cerimonia del tè, in cui le partecipanti vengono iniziate al rituale da Takeda-sensei, interpretata dalla pluripremiata Kiki Kirin, scomparsa poco dopo la realizzazione del film.
Nella cerimonia del tè, come nella vita professionale, Noriko commette degli errori dovuti alla sua indecisione e dimostra di saperli superare, correggendosi. Il corpo di chi compie la cerimonia del tè deve muoversi autonomamente, seguendo una memoria muscolare educata durante le rigorose lezioni. Compiere gesti precisi e ben codificati a cui è importante conferire un’adeguata grazia. Per questo motivo, osservare una cerimonia del tè può essere riduttivo. È necessario osservare le studentesse inesperte per poter apprezzare la precisione di una cerimonia ufficiale. Anche solo l’intenzione con cui vengono sollevati gli oggetti risulta parte delle gestualità: sollevare le cose pesanti come se fossero leggere e le cose leggere come se fossero pesanti.
Il film è proprio un feel good movie che può risollevare le sorti di una brutta settimana agli spettatori. Un genere che raramente ritroviamo nelle sale occidentali, in cui questo ruolo è ricoperto dalle frenetiche commedie. Every Day a Good Day ci lascia tante belle frasi da scrivere sulle t-shirt o sul diario, ma non solo: osservare le studentesse ripetere con determinazione i gesti della cerimonia educa la nostra “memoria muscolare” da spettatori a ritrovare i nostri spazi nei semplici gesti quotidiani, arginando l’alienazione degli impegni professionali senza arrenderci.
Una menzione speciale va riservata ai creativi dolcetti offerti durante la cerimonia del tè. C’è da dire che il bello di vedere i film al Far East Film Festival è che se qualche pietanza appetitosa sullo schermo è probabile che la si possa trovare alle bancarelle all’uscita dal teatro.