In Via Marano Lagunare, in una zona residenziale piuttosto timida e riservata, si cela un brulicante centro culturale gestito da un umile Imam, Mohammed Hajib. Il “Centro misericordia e solidarietà” si è distinto nel corso degli anni per le varie iniziative di carattere culturale che hanno contribuito a creare una comunità, un punto di riferimento non solo per i musulmani residenti nel capoluogo friulano, ma anche per il resto delle altre etnie che animano il Borgo Stazione di Udine. Il team di Constraint ha avuto il piacere di scambiare pensieri e opinioni con l’Imam del Centro; ancora una volta è il Covid-19 ad essere il triste antagonista di questa vicenda. Il virus ha costretto anche questa piccola ma fondamentale realtà ad adattarsi al new normal della pandemia, cambiando le abitudini culturali e religiose della numerosa comunità che animava il Centro…
Mohammed ti ringraziamo per aver deciso di dedicarci un po’ del tuo tempo per questa iniziativa. Stiamo cercando di creare un dialogo tra le varie attività, associazioni e personalità del Borgo Stazione e la tua voce in capitolo non poteva mancare.
Lo faccio volentieri. È bello che esistano queste cose. Il centro purtroppo è fermo da un po’ ormai, avevamo avviato diverse attività che con il lockdown si sono quasi tutte fermate. Ad esempio, prima della pandemia, un sacco di mamme di varie etnie non riuscivano a seguire o aiutare i propri bambini con i compiti; ci è stato chiesto di organizzare un corso di lingua italiana per i genitori di questi bambini. Si potevano contare ben 22 etnie. E chiaramente quando erano tutti qui nessuno riusciva a parlare con gli altri.
Dopo un anno e mezzo parlavano tutti italiano, che è diventata la lingua unica che gli ha permesso di comunicare, di stare assieme. È stata una gioia per tutti, per i professori soprattutto. Dovevate vedere l’emozione negli occhi delle persone che imparavano a scrivere per la prima volta il loro nome e cognome.
Quindi, ricollegandoci anche al vostro progetto, ogni servizio che si fa deve essere visto come una responsabilità collettiva. È questo il bello, è così che si contribuisce alla società e si crea comunità. Noi come Centro proponevamo tante iniziative anche (e soprattutto) per i giovani, che sono in pericolo. Tanti non hanno più una bussola, non sanno come relazionarsi con il mondo di oggi, serve qualcuno che possa aiutarli ad orientarsi. I genitori non sempre ci riescono, per il lavoro e per i vari impegni, e parlo da padre di 5 figli. Con la didattica a distanza poi, lasciamo perdere…
La didattica a distanza immagino abbia influito parecchio su di te, magari non come responsabile di questo posto, ma sicuramente in veste di padre.
Ho due figli all’università, due alle superiori e quella piccolina all’asilo.
Come fai a collegare tutti quanti contemporaneamente? La connessione difficilmente regge, e questo crea problemi durante le lezioni che spesso vanno a scatti; non si sente bene, i ragazzi litigano tra di loro per internet… Non è facile come situazione per loro.
E il Centro che gestisci? Com’è andato avanti durante il Covid?
Il centro è stato fermo per parecchio tempo. Quando siamo entrati per la prima volta in zona rossa abbiamo avuto la responsabilità di chiudere. C’è stato un momento in cui Udine è stata una delle peggiori città in Italia per numero di casi per abitante.
Quando si è calmato tutto abbiamo riaperto quello che abbiamo potuto. Per legge noi possiamo stare aperti, ma per sicurezza e incolumità decidiamo se aprire o chiudere in base alla situazione generale. Per quanto riguarda l’anno scorso invece, non siamo riusciti a fare il ramadan, che è capitato proprio durante il primo lockdown. Dopo quel periodo di quarantena tenevamo aperto solo durante la sera.
Durante il giorno è più pericoloso a causa del covid, perché arrivava gente da tutto il mondo che cercava aiuto, un pasto, una doccia, un letto. Ne ho viste di tutti i colori, e anche loro direi… Con il virus questo tipo di accoglienza non siamo più riusciti a farla per ovvi motivi. La sera invece arrivano solo residenti, nostri vicini che conosciamo ormai da anni. Facciamo una mezz’oretta di incontro, misuriamo la temperatura, solite precauzioni. Però queste cose possiamo farle con un numero ristretto di persone o con coloro che conoscono il luogo o la lingua. Sarebbe troppo rischioso in un periodo come questo accogliere tutti coloro che arrivano qui.
E per quanto riguarda la questione del culto e delle altre attività? Siete riusciti a portare avanti le varie iniziative tutto sommato?
Più o meno. L’80% delle nostre attività veniva fatta via Zoom. I partecipanti sono sempre meno, praticare online non è questo granché, ma almeno mantieni quel minimo di attività, anche per i bambini. Per fortuna ci sono diversi volontari che danno una mano ai più piccoli, se hanno problemi con la scuola o con varie materie.
Noi poi siamo attivi su tanti settori, con tante associazioni che si occupano di solidarietà e immigrazione. Però non riusciamo a fare tutto da soli, servirebbe una mano anche da parte della politica, e non parlo dell’amministrazione comunale, ma direttamente di quella europea. È un problema che sta alla base della politica internazionale. Vogliamo pensare ai giovani, al futuro del nostro paese o no? Ci sono troppi partiti e c’è mancanza di progetti. I politici devono fare la loro parte, guardare al futuro. Ormai le barriere culturali non esistono più, parliamo di seconde e terze generazioni che si sono stanziati qui e si sono fatti una vita qui.
Ad esempio, io sono di origine marocchina, ma sono trentatré anni che sono qui in Italia, e i miei figli, tranne la più piccola, sono nati a Vercelli.
E da quanto tempo sei qui a Udine?
Ora sono quattro anni che sono qui, e quando sono arrivato ho apprezzato tanto questa città, anche se all’inizio percepivo una certa chiusura da parte delle persone rispetto a Vercelli. Però anche i miei figli sono contentissimi.
Penso che sia un posto questo, il Friuli in generale, abituato alle migrazioni. Tutto sommato con noi sono sempre stati gentili.
Io di formazione sono geometra, ho sempre lavorato sulle strade e ho girato tutta l’Italia. E posso confermare che il Friuli è una realtà molto particolare rispetto al resto del paese. Ora non faccio più il geometra chiaramente, ma mi fa piacere essere qui, essere parte di un Centro che possa essere utile a tutti, italiani e non.
Quindi il Centro è ricercato anche dagli italiani?
Assolutamente, c’è molta mescolanza. Più di una volta gli studenti universitari, ad esempio, ci hanno chiesto di venire qui per studiare e conoscere l’Islam.
Poi come ho già detto prima, lavoriamo con varie associazioni regionali e nazionali, spesso diamo la disponibilità di stanze e spazi per gli eventi, quando ancora si potevano organizzare.
Ora la gente ha paura, chiaramente. Non c’è più l’affluenza che c’era prima. Arrivavano fino a ottocento persone, ora ne arriva una ventina… Anche per quanto riguarda il culto e il ramadan: tra restrizioni e coprifuoco è tutto cambiato, c’è molta meno gente e si va a perdere tutta l’atmosfera di condivisione che dovrebbe invece esserci.
Diverse associazioni ci hanno aiutato nel frattempo, Chiesa inclusa. È anche per questo che non credo alle differenze e alle divisioni, penso che siamo tutti fratelli. Quando c’è da festeggiare qualcosa lo si festeggia insieme, che si tratti del Natale o del ramadan.
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