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Sabato 13 maggio alle ore 19 all’Oratorio del Cristo in occasione di Vicino/Lontano si è tenuto l’incontro con Ezio Miceli e Angela Vettese, autrice del libro da cui prende il nome la chiacchierata “Venezia Vive”.
Venezia, città citata da sempre da artisti di tutti i tipi, storici dell’arte e da tutto il mondo in generale, potrebbe vivere una possibile condanna a morte dal convergere di due fenomeni opposti: l’invasione del turismo di massa e il progressivo esodo dei suoi abitanti.
Per comprendere al meglio la situazione abbiamo fatto qualche domanda ad Angela Vettese:

Vorrei ricollegarmi ad uno degli argomenti del suo testo “Venezia Vive” presentato oggi qui a  V/L: il turismo di massa, in questo caso turismo di massa culturale, che tocca le principali città d’arte italiane. Soprattutto nel caso di Venezia questo rischia di andare a ledere l’identità di un luogo tanto particolare e di una vita cittadina che vive dei suoi ritmi, diversi da quelli di qualsiasi altra città del mondo. Quanto è alto il rischio che il turismo di massa inglobi l’identità veneziana? È anche questa una tra le cause dello spopolamento della città?

Il turismo non è la causa dello spopolamento di Venezia, è un errore di prospettiva, il turismo è l’ unico motivo grazie a cui Venezia sopravvive. Certamente ci sono delle zone di Venezia che sono intasate e dove la vita, chiamiamola normale, non può aver luogo come aveva luogo un tempo. Questo però è limitato a quattro calli. C’è una grande necessità di pianificazione e quindi appunto di dispersione dei turisti in giro per la città. Certo poi che Venezia si adagi su di una cultura economica basata sulla rendita e quindi molti veneziani stessi cambino il modo di vivere trasferendosi a Mestre per poter affittare la loro casa a Venezia sotto forma di bed and breakfast, è evidente e comprensibile e probabilmente è questo ciò che ci deve preoccupare. Bisogna rilanciare! Sicuramente Venezia è una realtà che ha provato a diventare industriale, come del resto Taranto, Napoli con la sua costiera, Castellammare di Stabia. Abbiamo invaso le nostre coste, i nostri posti più belli di insediamenti industriali che poi si sono rivelati fallimentari, per tanto il petrolchimico di Venezia non ha un destino diverso dall’area siderurgica di Taranto, o del napoletano. Quello che sta accadendo è che la classe operaia che viveva a Marghera e in parte a Venezia e che animava appunto Venezia, non c’è più, perché gli operai si sono ridotti in tutto il mondo. Pensiamo che Detroit è ridotta a un cimitero, pensiamo appunto allo spopolamento di tutte le città che si sono fondate su una produzione industriale di tipo novecentesco. Io penso che il modo giusto per rilanciare una produzione a Venezia sia rilanciare tutto l’ambito che riguarda la didattica e la ricerca, quindi molte università, molti convegni, molta gestione del patrimonio nel senso di didattica museale, didattica all’interno delle chiese, o più semplicemente guide. Penso che se Venezia inizia a produrre cultura in maniera massiccia, non ha più bisogno di rimpiangere quello che non produce più, cioè quello che era il petrolchimico o il calzolaio, nessuno rimpiange più che non ci sia un maniscalco, i maniscalchi non ci sono più perché non si va più a cavallo, la storia va avanti, c’è bisogno di rilanciare, c’è bisogno di procedere, certo appunto seguendo la vocazione dei luoghi.

Angela Vettese

Copertina Libro “Venezia Vive”

In riferimento alle istituzioni che governano e prendono decisioni sulla vita culturale nelle città d’arte, come può relazionarsi il pubblico con il privato (a Venezia troviamo Fondazione Pinault – Palazzo Grassi, Punta della Dogana) e quanto nel futuro sarà presente e importante l’azienda privata culturale nella gestione e produzione culturale veneziana/italiana?

Io credo stia già ampiamente succedendo, dobbiamo sperare sia un innesto felice con un controllo da parte delle istituzioni pubbliche, perché quando è nata la fondazione Pinault c’era un preciso protocollo per cui sarebbe stata legata alla città, dando alcuni servizi. Questo legame però lo vedo un po’ sfrangiarsi, anche se io amo la fondazione Pinault perché è retta da persone molto illuminate, però il governo cittadino ha perso già la prese su queste realtà. Se c’è una fondazione Cini, una fondazione Pinault, se ci sono investitori che vengono dalla Russia, come sta accadendo, poi si dice che debba aprire un museo dell’Islam, se ci sono delle identità straniere che vengono, restaurano, organizzano, non vedo perché no, durante La Biennale di Venezia del resto c’è un enorme giro d’affari che viene da privati anche non italiani. Il budget che La Biennale di Venezia ha per la propria mostra è risibile rispetto a tutto quello che succede davvero, perciò pubblico e privato possono andare d’accordissimo, certo se le istituzioni pubbliche riuscissero a tenere un occhio un po’ più attento riusciremmo a rendere ancora più efficace la collaborazione.

Recentemente abbiamo assistito in Strada Nuova al restauro del cinema che è diventato un supermercato. Questo è stato criticato anche a livello internazionale. Potrebbe essere una metafora del processo di poco interesse per il valore di questi luoghi, oppure una semplice evoluzione del contesto urbano?

La gente ha bisogno di supermercati, quel luogo era chiuso da tempo, si è trovato chi l’ha restaurato, è diventato un bellissimo supermercato quindi non vedo cosa ci sia di male. Se domani le chiese abbandonate diventassero luoghi usati per la vita comune e capaci di rendere più abitabile una città che a volte non lo è, io non ci trovo nulla di negativo. La cosa importante è che le istituzioni pubbliche, in questo caso la sovrintendenza riesca a stare attenta alla buona esecuzione dei restauri e ad un uso che non leda il luogo stesso, poi se si vendono le verdure, non vedo che male c’è.

Angela Vettese

Venezia, nell’ex cinema diventato Despar. (Foto da La Nuova di Venezia e Mestre)

Tornando invece alla Biennale d’arte che è stata inaugurata pochi giorni fa, esposizione nata nel 1895 sull’onda delle esposizioni universali ottocentesche, con lo scopo di convogliare in un unico luogo le eccellenze mondiali incontrando il mercato dell’arte di Venezia, cercando anche di raggiungere lo scopo di promuovere l’immagine di Venezia e dell’Italia a livello mondiale. È ancora possibile questo scopo, oppure vive della sua immagine creata nel tempo, ma non andando effettivamente ad aggiungere valore sempre maggiore alla proposta e all’immagine italiana. Si riesce ancora a promuovere nel mondo le nostre qualità?

La Biennale di Venezia non ha mai promosso l’Italia, è nata ed è sempre stata internazionale e questa è la critica che le è sempre stata fatta dall’inizio, tanto è vero che tre anni dopo è nata la Fondazione Bevilacqua la Masa per proteggere gli artisti veneziani. La maggior parte del denaro che si muove intorno alla Biennale è straniero ed è privato, ha un numero sempre crescente di eventi collaterali e di padiglioni stranieri. Nata come una mostra centrale, dal 1907 ha avuto un padiglione e successivamente trenta ai giardini, ad oggi siamo arrivati a numeri che oscillano tra i settanta e i novanta per ogni edizione aggiungendo gli eventi collaterali, in parte organizzati da La Biennale, in parte no, questi ultimi necessitano di un pagamento di un “fee” per usare gli spazi. Possiamo immaginare che ora ci siano in città almeno 150 eventi e padiglioni, questo significa che se ciascuno richiama un pubblico, un finanziamento, il rianimare un luogo nell’area che è tutta Venezia, non solo interna ai giardini, questo significa che si sta tenendo fresca questa manifestazione, non è schiava di sé stessa, forse lo può diventare, perché una cattiva presidenza o gestione rovina quello che si è fatto in due anni o in cento, però possiamo anche sperare che non succeda.

Riprendendo quello che diceva a proposito l’estensione e l’apertura a nuovi e diversi padiglioni, e quindi dove si vengono ad incontrare diverse culture, potrebbe insegnare ad accettare le diversità tra i popoli, è uno strumento per far aprire gli occhi e far conoscere agli altri paesi la propria ricchezza e quindi aprire la mente a chi non ha occasione di uscire dalla propria realtà tramite i padiglioni, ad esempio quelli gratuiti che sono sparsi per la città di Venezia?

Quelli servono a fare vendere delle parti non conosciute, aprire la mente succede quando una persona lo vuole fare: l’arte si impara con i piedi, ma ad aprire la mente lo deve fare la mente. Certamente il fatto che non si sia dentro una serra chiusa o un percorso per criceti è meglio, speriamo che questa rete ampliata continui a crescere.

Udine, 13-05-2017 – VICINO LONTANO 2017 – Oratorio del Cristo – Venezia vive – incontro con EZIO MICELLI, ANGELA VETTESE, ELENA COMMESSATTI – Foto © 2017 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Abbiamo lasciato per ultima una domanda che in apparenza può sembrare semplice o stupida, ma la cui risposta ha probabilmente un contenuto immenso e sicuramente complesso. Perché è importante fare cultura nel 2017, a Venezia, in Italia, ed estendendo ancora, nel mondo, in rapporto anche a quello che sta succedendo a livello mondiale negli ultimi anni?

L’Italia ha avuto fino ad un certo punto un primato per quanto riguarda le macchine da scrivere, che si era trasformato anche in una rapidissima messa al passo dell’Olivetti in particolare per quanto riguarda i computer. In breve tempo ha smesso di produrli. Questa eccellenza è stata boicottata e quindi l’Italia adesso i computer li compera da tutto il mondo ma non è più in grado di esportare alcunché rispetto alla sua preveggenza rispetto all’informatica. Questo significa privilegiare la conservazione e la pigrizia. Quella che sto raccontando è una storia che riguarda la conoscenza e l’avere trattato male la conoscenza. Trattare bene la conoscenza non significa mettere la gente in biblioteca a studiare, trattare bene la conoscenza significa creare ambiti produttivi e stare al passo con le novità, in modo che il mio telefono, il mio computer, la mia sedia e il mio abito li possa comprare come provenienti da una manifattura italiana: per l’abito e la sedia trovo un’eccellenza in Italia, invece per il computer e il telefono no. Quindi si tratta di non perdere la supremazia nel nostro piccolo primato negli ambiti in cui ce l’abbiamo, da qui non si scappa, lo si fa solo attraverso la competenza, lo studio, la conoscenza, quindi quello di cui parlo non è mai una conoscenza svincolata dalle sue possibilità applicative.

Udine, 13-05-2017 – VICINO LONTANO 2017 – Oratorio del Cristo – Venezia vive – incontro con EZIO MICELLI, ANGELA VETTESE, ELENA COMMESSATTI – Foto © 2017 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Angela Vettese
Storica dell’arte, dirige il Corso magistrale di arti visive all’Università Iuav di Venezia. Collabora con il Sole-24 Ore. È stata assessore alle Attività culturali e allo sviluppo del turismo del Comune di Venezia. Dal 2016 è direttore artistico di Arte Fiera a Bologna. Tra i suoi libri: Si fa con tutto (Laterza 2012); L’arte contemporanea (Il Mulino 2012); Venezia vive (Il Mulino 2017).

Intervista a cura di Luca Pavan e Alessandra Conte