Revolution Has Been Televised è un’installazione di videoarte che arriverà a Udine da sabato 23 febbraio 2018 occupando lo spazio del bunker antiaereo ai piedi della collina del Castello di Udine, in piazza Primo Maggio. Conterrà le opere di Mattia Cesaria (Italia), Vanessa Gageos (Romania), Michail Hustaty and Lenka Kuricova (Repubblica Ceca), Arijana Fridrih (Croazia) and Katarzyna Pagowska (Polonia).
Volendo avere qualche informazione in più su questo evento a respiro internazionale abbiamo fatto qualche domanda all’associazione IoDeposito (già incontrata a Udine con l’installazione PRISONERS). Chiara Isidora Artico, presidentessa dell’associaizone e Michele Di Benedetto collaboratore, ci hanno risposto spiegandoci qual il filo conduttore di queste installazioni e cosa aspettarci all’appuntamento al bunker.
Chi siete?
Siamo IoDeposito Ngo: la nostra associazione è stata fondata nel 2009, con lo scopo di svolgere attività di promozione delle opportunità giovanili attraverso i media dell’arte e della cultura, sostenendo i giovani della regione, il loro benessere culturale e le loro competenze specifiche, con una particolare propensione verso i settori delle arti visive e della formazione ai mestieri del management culturale, dell’arte e della curatela.
In poco più di otto anni di attività abbiamo coinvolto più di 170.000 persone nelle nostre progettazioni: mostre, progetti culturali ed artistici, percorsi di ricerca e di formazione, laboratori e workshops.
Siamo una ventina abbondante di giovani operatori culturali (art managers, ricercatori e dottorandi, curatori e storici dell’arte, grafici, designer, artisti, educatori-creativi ed economisti della cultura), e la nostra associazione lavora localmente, ma in chiave internazionale, riversando sul territorio l’esperienza e la collaborazione di realtà istituzionali, giovanili, artistiche e scientifiche che operano in più di 50 paesi del mondo.
Quale sarà il vostro prossimo progetto?
Continuare con il nostro B#Side War Festival, e offrire una stimolante quarta edizione. B#Side War festival è una rassegna artistica e culturale diffusa, che permea i territori Friuliani, Giuliani e Sloveni che si estendono dal mare Adriatico alle Alpi Giulie, con attività completamente gratuite per i visitatori ed eventi speciali in numerose altre piazze Italiane e internazionali (da Roma a Genova, e poi in Canada, Stati Uniti, Slovenia, Australia, Belgio, Francia, Inghilterra, Danimarca, Namibia, Taiwan, e presto in Argentina). Tra le attività promosse dal festival, mostre d’arte e installazioni, performing, talks e incontri, conferenze, ricerche e pubblicazioni.
Patrocinata dal Consiglio d’Europa e dall’UNESCO, con una forte componente internazionale, la rassegna coinvolge artisti e contributors internazionali, al fine di promuovere una riflessione trasversale e congiunta sul comune passato dei conflitti del ‘900 attraverso le arti visive.
Nata con lo scopo di indagare i lasciti e i retaggi delle guerre del XX° secolo alle nuove generazioni, la rassegna vuole contribuire al ripristino di quei nessi che si sono allentati tra il primo conflitto mondiale e il nostro quotidiano, al fine di indagare il legame che sussiste tra il nostro passato di guerra e il modo in cui oggi percepiamo il mondo.
Lavoriamo con interventi artistici e sperimentali (installazioni, mostre, land art e arte pubblica) che agiscono sulla memoria, che mirano ad incentivare l’avvicinamento delle persone al nostro passato bellico condiviso, volendo riportare la riflessione al mondo di oggi attraverso l’indagine delle disastrose eredità, delle rotture e dei lasciti delle guerre che nell’arco del secolo hanno colpito il mondo.
Vediamo il nostro territorio come perno centrale di questa riflessione, e, in particolare, a Udine presenteremo Revolution Has Been Televised, una tre giorni di installazioni videoarte nel bunker antiaereo della città (Revolution Has Been Televised).
Cosa troverà il visitatore alla vostra esposizione?
Nella severa e suggestiva cornice del rifugio antiaereo di Udine, il visitatore troverà una selezione inedita di lavori di videoarte: le opere che abbiamo scelto indagano la creazione dell’identità nazionale (anche attraverso la propaganda) dalla Prima guerra mondiale ai conflitti bellici di oggi.
“You will not be able to stay home, brother / You will not be able to plug in, turn on and drop out” recitava Gil Scott-Heron nei primi versi della sua The revolution will not be televised: oggi, a quasi cinquant’anni dai versi del poeta, e a cento dal primo conflitto mondiale, il rapporto tra la macchina da presa e le vicende belliche sembra essersi morbosamente cementificato in visioni crude, assuefacendo lo spettatore ad angoscianti e ripetitive immagini.
Contrariamente alla comunicazione unilaterale imposta dai mass media, l’arte lascia ancora ampia possibilità di dialogo, di rappresentazione, di significazione e di ricerca: gli artisti Mattia Cesaria (Italia), Vanessa Gageos (Romania), Michail Hustaty e Lenka Kuricova (Repubblica Ceca), Arijana Lekic Fridrih (Croazia) e Katarzyna Pagowska (Polonia), esporranno le loro opere video all’interno del bunker udinese indagando e affrontando l’ampio tema della manipolazione dell’immagine in epoca bellica, non indugiando sulla violenza delle immagini stesse, bensì favorendo una percezione intima dei simboli che contengono: il visitatore si troverà immerso nell’austera atmosfera del bunker, attirato dalle installazioni e dagli schermi multimediali -realizzati per l’occasione da Joshua Cesa- che contengono i video. I video impongono un silenzio rituale in questa location, un isolamento ermetico dal caotico vivere quotidiano, ricongiungendo chi vi entra con il suo trascorso e con i ricordi dell’esperienza bellica che gli è stata tramandata dalla collettività, rivelando la memoria familiare (saggia, intima e personale), come antidoto alla propaganda.
Se è vero che le rivoluzioni ed i conflitti sono stati trasmessi sugli schermi, abituando gli occhi delle folle a una violenza insensata, è anche vero che la sensibilità estetica e umana degli artisti, può proiettare i nostri sguardi verso un linguaggio interattivo e universale, conferendo nuove prospettive e nuove percezioni del conflitto e dei media attraverso il quale viene giustificato.
Questo, almeno, è quello che ci auguriamo di trasmettere!
Come mai avete scelto questa location?
Da una parte perché molto del nostro impegno sta nel collocare contenuti artistici che portino a riflettere sulla guerra, in luoghi che abbiano una connessione diretta con il fatto bellico (potremmo dire negli “heritage” che le guerre mondiali hanno lasciato a costellare il nostro territorio: bunker, fortini, trincee). Crediamo che l’arte contemporanea sia un veicolo potente, un mezzo di significazione intima e personale che può metterci in contatto con chi ha vissuto un’esperienza così traumatica: il potere estetico delle opere d’arte contemporanea si sprigiona in modo ancora più intenso se collocate in quei luoghi dove il lascito del conflitto è più percepibile!
Inoltre, da anni lavoriamo sullo sviluppo del pubblico (e di nuovi pubblici) per l’arte contemporanea, intendendo questa pratica come possibilità di creare occasioni di confronto e fruizione anche e soprattutto in quei posti che non sono canonici luoghi museali: siamo convinti che mettere l’arte nel tessuto dei luoghi della quotidianità cittadina ne amplifichi le possibilità, e aiuti a portare a contattato le persone con i contenuti artistici.
Il Bunker antiaereo rappresenta un’ottima possibilità, in questo senso: incuriosisce i cittadini che non sono abituati a fruire dell’arte, ma è anche un patrimonio architettonico della guerra, che trasuda letteralmente il sentimento provato da chi viveva al tempo: è stato costruito nel 1943 per dare rifugio ai cittadini in seguito ai continui bombardamenti aerei, e ha un’estetica talmente spiccata che sembra diventare parte integrante delle installazioni stesse, con la sua aria tagliente e il suo riverbero sonoro.
Affrontate il tema dell’identià nazionale e degli stereotipi. A quali accezioni di questi termini fate riferimento?
La quarta edizione del nostro festival sta ruotando attorno al tema della narrativa di guerra, sia essa letteraria, visuale o addirittura museografica: in questa cornice di inserisce la riflessione sulla creazione delle identità nazionali.
Le identità nazionali vengono costruite con delle “narrative nazionali”, che spesso non rappresentano la multi-vocalità e poli-focalità del fenomeno bellico, risultando un po’ rigide e di certo poco “negoziabili” nel tempo (basti pensare al nostro territorio: quanto patrimonio abbiamo, e quanto turismo perdiamo, ogni anno, sul tema della Grande Guerra, a causa dell’immaginario che si è creato, relativo alla “retorica della vittoria”, che non lo vede partecipe? Quante sfaccettature degli stessi fenomeni bellici vengono rimosse nella nostra coscienza collettiva, e anche dai libri di scuola, a favore di una più facile visione monolitica degli eventi?).
Nel nostro interesse principale c’è il nutrimento di una necessaria visione poli-vocale e multi-vocale dei fenomeni storici che hanno plasmato la nostra identità, attraverso la capacità simbolica degli artisti: l’evento Revolution Has Been Televised rappresenta un ottimo esempio di come attraverso la videoarte sia possibile investigare in modo eccezionalmente vivido e toccante i processi con cui le identità nazionali si stratificano fuori e dentro di voi.
Nell’idea di dare spazio a riflessioni diverse, e senza la pretesa di essere enciclopedici, vengono toccate sfaccettature differenti dello stesso tema: Mattia Cesaria, ad esempio, rappresenta in modo sensoriale, sfruttando la prossemica fisica dello spettatore stesso, il modo in cui il meccanismo propagandistico abbia sfruttato gli stessi elementi percettivi oggi e 100 anni fa. Vanessa Gageos, esprime in maniera sincretica ed efficace i rischi distruttivi della propaganda, Michal Hustaty e Lenka Kuricova sottolineano come lo stereotipo (potente arma per l’identità nazionale), venga trasmesso anche e soprattutto nei contesti più ingenui e inaspettati: i giochi, le filastrocche, gli strumenti della cultura popolare più innocui. Ancora, Katarzyna Pagowska evidenzia con una provocazione metaforica le connessioni del potere economico-politico con la recrudescenza del cieco patriottismo nel suo paese, mentre Ariana Lekic Fridrih analizza l’auto-rapprsentazione dell’identità manipolando il filmato di una parata nazionale.
Perchè associate il tema dell’identità nazionale al tema della guerra? La guerra è qualcosa di molto remoto, come pensate di sensibilizzare i visitatori?
Non concordiamo sull’idea che la guerra sia affare così remoto… la guerra è qualcosa di vicino, seppur rimosso, e si molto addentro a noi stessi: il fatto che i suoi lasciti siano, dopo un po’, invisibili all’occhio, non significa che non ci siano.
Le guerre del passato sono una specie di capestro invisibile, per chi come noi vive in territori che ne sono stati oggetto così intensamente: laddove non elaborato in chiave individuale e collettiva, il trauma ci viene trasferito come uno scomodo bagaglio “silente” dalle generazioni precedenti.
Quando siamo partiti, 5 anni fa, abbiamo approcciato una visione basata sulla scienza psicanalitica, che per prima ha riconosciuto lo sviluppo di questa dinamica di “trasmissione silente” nel tempo, ma per chi si sentisse più a suo agio nelle scienze esatte, una conferma la si può trovare anche nell’epigenetica e in tutto il filone di trauma studies, discipline che hanno dimostrato che alcuni avvenimenti traumatici e debilitanti lasciano traccia intergenerazionale. Dunque, se è vero che la povertà lascia traccia nella nostra mente collettiva e nel nostro dna per 7 generazioni, per quante potrà permanere qualcosa di violento come il trauma della guerra?
Dopo 5 anni di festival, siamo inclini a pensare che la guerra sia qualcosa che sopravvive a chi l’ha vissuta in prima persona. Ma siamo sempre più inclini anche a pensare che si possa fermare la trasmissione silenziosa di questo scomodo bagaglio lavorando sulla comprensione di questo retaggio, oggi, attraverso le arti.
La rassegna si fonda sull’idea che il forte potere simbolico e di significazione delle arti contemporanee possa aiutare a sondare le profondità della nostra coscienza individuale e collettiva, portandoci nel “mondo delle immagini di tutti” (come diceva Meltzer): la terra delle esperienze universali, che solo attraverso l’arte possiamo raggiungere. Ne abbiamo avuto prova misurando l’effetto benessere percepito dai nostri visitatori, sempre molto intenso.
Provare per credere: vi aspettiamo al bunker!
Revolution Has Been Televised – IoDeposito
da venerdì 23.02.18 a domenica 25.02.2018 / dalle 13.00 alle 19.00
Rifugio antiaereo di Piazza I Maggio
Apertura speciale e installazioni di videoarte
Visite guidate con gli artisti / è previsto l’ingresso di 25 persone alla volta. Per visite guidate e prenotazioni [email protected] +39 338 6744673
Friday the 23th of February (h. 13.00-19.00), Saturday the 24th and Sunday the 25th (10.00-19-00)
@ the Bunker of the city of Udine, Italy – entrance from I Maggio square, under the Castle hill.
info and reservations: [email protected] (visited tours with the artists available)