Nell’articolo precedente è stata introdotta la corrente Informale e si è fatto accenno alle sue varie forme di espressione. Oggi tocchiamo con mano lo Spazialismo, aspetto dell’Informale che prende come protagonista dell’opera lo spazio reale che non solo dialoga con l’opera ma ne entra direttamente a far parte. Questo movimento è riconducibile all’Informale poiché si basa sul principio comune dell’assenza delle forme; diverge dalla corrente materica approfondita nell’articolo di marzo poiché basa le sue ricerche e le sue espressioni artistiche sullo spazio.
Nel dicembre 1947 viene firmato il Manifesto dello Spazialismo da Lucio Fontana, dal critico Giorgio Kaisserlian, dal filosofo Beniamino Joppolo e dalla scrittrice Milena Milani.
Tuttavia, il primo testo teorico alla base della nascita dello Spazialismo è stato ideato nel 1946 a Buenos Aires, in Argentina: il cosiddetto “Manifiesto Blanco”, dove si iniziano a delineare volontà e urgenze di un superamento dell’arte come sino ad allora concepita, inserendo le dimensioni del tempo e dello spazio. Come visto in precedenza, infatti, avviene un superamento della concezione tradizionale di pittura e scultura, e in questo caso, non è la materia ad essere coinvolta, ma lo spazio reale, rendendolo materia prima dell’opera.
Come maggior rappresentante della corrente spazialista, Lucio Fontana, ha lavorato molto sui concetti di materia, spazio, luce e vuoto trovando un modo di estendere i confini dell’arte.
Le sue opere più famose sono state realizzate su tela ma ha lavorato molto anche su materie plastiche, come la ceramica e ha interagito molto con gli ambienti. Le sue riflessioni, trasformate poi in sperimentazioni, hanno dato vita a spazi reali in cui vivere e potersi muovere superando la staticità della pittura e della scultura. Un esempio è la Struttura al neon per la IX Triennale di Milano oggi conservata al Museo del 900 di Milano.
La prima espressione spazialista di Lucio Fontana avviene nel 1949, anno in cui espone il suo primo Ambiente Spaziale presso la Galleria del Naviglio a Milano.
I concetti Spaziali. Attese, comunemente definiti buchi (dal 1949) o tagli (dal 1958), mettono in gioco la natura stessa dell’identità dello spazio pittorico e la sua bidimensionalità come scena di ogni possibile rappresentazione virtuale e illusoria. Lo spazio per Fontana, è un luogo di irradiazione di energie ondulatorie o di esplosione di fenomeni nucleari.
Dalle sue ricerche e dai suoi studi, prenderanno il via i così detti Nucleari. Artisti come Roberto Crippa, Gianni Dova, Cesere Peverelli che si concentreranno sulla dinamica delle forze nucleari e sulle rappresentazioni di esplosioni atomiche.
Tornando allo Spazialismo, è fondamentale il continuo rapporto tra la bi e tridimensione. Da un lato, l’utilizzo dei buchi e dei tagli, rompe lo spazio bidimensionale, dall’altro, il reale sfondamento della superficie, contrasta con la volontà di rendere all’osservatore l’opera nella sua collocazione verticale sulla parete, senza permettergli di interagire con il retro della tela e di subordinarlo a un puro rapporto contemplativo. Il gesto di Lucio Fontana dimostra che l’opera continua oltre la sua superficie ritagliata estendendosi nello spazio come fosse infinito ma fissa la possibilità di capire l’opera da un’unica prospettiva. Interessante sapere che anche il retro delle tele risulta importante, poiché oltre alla firma e alle garze nere incollate attorno ai tagli, Fontana scriveva delle frasi identificative di conferma di autenticità. Esse sono casuali, improvvise e ironiche e probabilmente puntavano a differenziarsi dai falsi che erano già in circolazione.
Nella prossima puntata riprenderemo l’Informale osservando il suo aspetto gestuale e segnico e, con un artista non solo italiano ma friulano, salperemo oltre oceano fino a raggiungere gli Stati Uniti.
Stiamo parlando di Afro Basaldella.
Questo articolo fa parte della Rubrica del Contemporaneo curata da Cecilia Durisotto.