Dopo l’articolo su Afro Basaldella, La rubrica del Contemporaneo prosegue con l’action painting di Jackson Pollock!
Come accennato brevemente il mese precedente, a causa della guerra, molti artisti sono migrati dall’Europa per approdare negli Stati Uniti. Ciò ha fatto sì che si creassero delle contaminazioni di stili e delle sinergie che portarono alla nascita di nuove correnti e nuove espressioni artistiche. Se in Europa e in Italia si sviluppa l’Arte Informale, in America, a partire dalla metà del XX Secolo, si articola una corrente artistica definita Espressionismo astratto. I principi si assomigliano a quelli dell’Informale, tuttavia l’espressione prende le sue radici dal movimento dell’Astrattismo, il cui esponente è Vasilij Kandinskij e dagli esponenti del surrealismo. E’ soprattutto grazie all’arrivo in America dei grandi pittori europei delle avanguardie, tra i quali Max Ernst, Marcel Duchamp, Marc Chagall e Yves Tanguy, che fu possibile lo sviluppo di questa corrente.
L’espressionismo astratto viene suddiviso in due diversi rami: l’Action Painting e il Color-field Painting. Il primo, la cui denominazione viene coniata nel 1952 dal critico Harold Rosenberg, diede vita a opere caratterizzate dall’attenzione per la materialità della pittura e soprattutto per il gesto del dipingere: l’opera viene creata lasciando cadere la pittura sulla tela (dripping), o lanciandovi contro i colori in maniera apparentemente casuale. L’atto fisico di creazione diventa parte integrante dell’opera. Il secondo ramo si concentrò sull’estrema ricerca del colore, addensato a volte su superfici pressoché monocrome.
Alcuni esponenti della corrente sono Willem de Kooning, Franz Kline e Jackson Pollock. Con quest’ultimo, sicuramente il più rappresentativo e importante, l’arte americana conosce il primo vero artista capace di esprimere con un linguaggio nuovo e autonomo tutte le contraddizioni che affliggevano la società. La sua fama e la sua affermazione si devono sicuramente al suo legame con la collezionista d’arte statunitense Peggy Guggenheim che ne riconosce il valore sin dal 1942, quando l’artista era ancora sconosciuto al grande pubblico.
I quadri informali sono negazione di una conoscenza razionale della realtà e diventano la rappresentazione di un universo caotico in cui risulta difficile dare un ordine razionale. L’esperienza artistica che viene a formarsi, diventa pertanto sola espressione e testimonianza dell’essere e dell’agire. Nell’informale gestuale, l’energia e la vitalità primaria della materia rendono alla tela la possibilità liberare forme inedite, visioni ed interpretazioni del mondo, ricche di emozioni esistenziali soggettive. Per esprimere tutto ciò, Pollock rinuncia sia al cavalletto sia alla parete, per porre nello spazio dello studio, sul pavimento, i supporti stessi su cui e attorno cui lavorare. Ottiene una spazialità fortemente omogenea priva di gerarchie o confini: le nuove coordinate dell’immagine sono costituite dalle relazioni cromatiche, dall’andamento oscillatorio del segno e dalle sgocciolature capillari. L’artista entra fisicamente all’interno della tela poggiata sul pavimento e guida con il proprio gesto lo sgocciolare del colore, creando un dinamismo il cui perno è la sua stessa emozione. Jackson Pollock realizza le sue opere in uno stato di trance, nel quale è l’inconscio a guidare il pittore nel processo creativo, che diviene una sorta di danza sulla tela. È un modo con cui l’artista libera la tensione, come in un antico rituale. Se Pollock esprimeva la propria contemporaneità con l’azione, Rothko come faceva ad esprimerla con il solo utilizzo dei colori? Il prossimo mese vedremo il secondo ramo dell’Espressionismo Astratto Americano: il Colorfield Painting.