A due giorni dal primo Gay Pride del FVG che si è tenuto a Udine il 10 giugno, abbiamo voluto approfondire con Giulia Iacolutti, di ritorno dal Messico, i temi della sua esposizione Casa Azul alla libreria Martincigh di via Gemona a Udine. La tecnica di stampa fotografica chiamata “cianotipia”, la situazione dei transessuali nelle carceri di Città del Messico ed il FVG Pride: cos’ha in comune tutto questo?
Partiamo dal capire cos’è Casa Azul, l’esposizione fotografica alla libreria Martincigh, e da che cos’è questa tecnica: la “cianotipia”.
La mostra Casa Azul è una mostra che racconta storie di vita di donne transessuali incarcerate in carceri maschili a Città del Messico. Sono donne che hanno l’AIDS, in qualche modo questo lavoro vuole raccontare con un parallelismo con le scienze biologiche quella che è la discriminazione, attraverso una sorta di metafora: come il nostro sistema immunitario deve combattere contro il virus, anche noi tante volte dobbiamo combattere con un metaforico virus, in questo caso la società che ci rinnega, perché non si identifica con noi che nasciamo uomini e ci sentiamo donne o viceversa. Tutto il lavoro è processato in azzurro perché le donne sono obbligate a vestirsi di questo colore, vivendo in un carcere maschile dove gli uomini sono vestiti in azzurro, per tanto la mostra che si tiene alla libreria Martincigh espone delle “cianotipie”, un antico processo di stampa che utilizza nelle emulsioni di chimici che esposti al sole fanno diventare la stampa finale azzurra.
La prima fotografa che utilizza il metodo della “cianotipia” è stata Anna Atkins, considerata la prima fotografa donna. C’è un collegamento concettuale con questa prima esperienza della storia della fotografia?
Credo che ci sia sempre un senso a tutto. Non mi ero mai approciata prima di questo progetto a questa tecnica ed è stata pura casualità perché nel periodo precedente al lavoro stavo frequentando molto Nirvana Paz, una fotografa messicana specializzata in questa tecnica, con la quale stavo lavorando su altre cose. Quando ha visto il mio lavoro tutto in azzurro mi chiese “ perché non lo stampi con questa tecnica?”, ed ecco che da questo spunto sono arrivata ad utilizzare questo procedimento. Ripeto, nulla è a caso, il fatto che sia la prima donna ad aver utilizzato questa tecnica e che il tema sia proprio la donna ed il sentirsi donna, sembra quasi un collegamento inconscio che alla fine mi ha portato alla “cianotipia”.
Casa Azul evidentemente tratta un tema collegato al primo Gay Pride del Friuli Venezia Giulia che si terrà fra pochi giorni, sabato 10 giugno 2017. Cosa ti aspetti da parte dei cittadini udinesi per questa mostra e cosa per il Gay Pride?
Sono contentissima del fatto che Udine abbia deciso di accogliere questa manifestazione, che è dimostrazione di un pensiero intelligente. Nella contemporaneità penso che l’unica soluzione alla diversa espressione sia accettarsi, quindi appoggio pienamente il movimento e l’FVG Pride. Penso anche che la mostra sia una forma differente di parlare delle stesse cose. Ci sono vari livelli di lettura delle cose e la mostra vuole essere uno di questi livelli, in questo caso attraverso l’arte o come nel caso dell’FVG Pride attraverso una marcia, una manifestazione.
Dal tuo punto di vista di chi ha avuto la possibilità di entrare nelle carceri e vedere direttamente il problema della discriminazione LGBT, di italiana che ha vissuto per un po’ di anni in Messico, come vedi la situazione del nostro paese da questa prospettiva? Guardando invece a paesi come l’Olanda che sul fronte di inclusione e accettazione possono vantare le prime posizioni nel mondo, come posizioni l’Italia rispetto ai due “estremi”, negativo-Messico, positivo-Olanda?
Ho vissuto tre anni in Messico, quindi forse ho più coscienza di quello che succede là, piuttosto che quello che è successo negli ultimi anni qui. Quello che noto è una tendenza all’uso del “pink washing”, questa strategia che si utilizza dimostrando una grande tolleranza, ad esempio la possiblità dei matrimoni gay, la legalizzazione delle adozioni, dimostrando una grande accettazione, come succede a Città del Messico che è una città apparentemente innovativa da questo punto di vista, però poi quando entri nel piccolo, capisci anche che è inutile creare questa legalizzazione se poi non fai formazione dalla base. Quindi sì per l’apertura ai matrimoni gay, ma se poi ci sono ancora il signore e la signora che non capiscono giustamente, perchè non gli è stato spiegato, allora forse stiamo un po’ sbagliando, siamo un po’ troppo proiettati sul mostrare, piuttosto che sul formare. Questo lo dico a livello generale, per quanto credo che si debba parlare di realtà molto più piccole, ad esempio Bologna è molto più avanti di altre realtà, per quanto non possa esprimere un’opinione completa, dato che non mi sono mai occupata direttamente di questi temi in Italia.
Concludendo, una domanda più generale sul tuo percorso precedente alla fotografia. Ti sei formata in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali all’università Ca’Foscari di Venezia, poi scegliendo di perseguire un’altra tua passione, che è diventata una professione, ovvero quella di fotografa. Quanto il conoscere le dinamiche retrostanti al mondo delle arti ti ha aiutata nel tuo percorso?
L’università per me è stato un grande momento di formazione, perché prima di fare arte è fondamentale studiare arte ed imparare a leggere le opere che hanno sempre una storia alle spalle. A livello di economia e di mercato mi ha insegnato invece l’unicità dell’opera e anche a credere nel fatto che bisogna smettere di pensare che l’arte sia un hobby, l’arte è un lavoro, l’opera è un prodotto che si vende e che è giusto vendere perchè arricchisce anche a livello umano, sociale, civile o economico, come ad esempio esistono gli investimenti in arte. Credo che mi abbia educata a questo, a non essere timida nel chiedere di metterci dei soldi nel momento in cui il pubblico vuole il mio prodotto.
GIULIA IACOLUTTI
Dottoressa magistrale in Economia dell’Arte e fotografa freelance, il suo lavoro esplora, tra Messico e Italia, temi politici e socioculturali che si riferiscono in particolare al problema della costruzione dell’identità. Ha esposto in Messico, Colombia, Stati Uniti, Spagna e Italia. Ha ricevuto il premio “Miglior Fotografia” della 54^ Biennale di Venezia e la nomina per due anni consecutivi (2016-2017) per il “Joop Swart Masterclass” del World Press Photo (Amsterdam). Attualmente collabora con il Laboratorio Multimediale per la Ricerca Sociale dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, sviluppando il suo nuovo progetto socio-visuale “Casa Azul” incentrato sull’esperienza delle persone transessuali all’interno delle carceri maschili.
Articolo a cura di Luca Pavan e Alessandra Conte