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La Fine del Nuovo è una mostra d’arte contemporanea itinerante, concepita da Neo Associazione come un grosso volume diviso in 16 capitoli corrispondenti ad altrettanti palazzi e siti, lunga un anno – dal 21.05.2016 al 21.05.2017 – riallestita, sempre diversa, in città italiane e straniere. 80 artisti, 400 opere, che riflettono sul concetto di Nuovo nell’arte contemporanea in relazione agli aspetti socio-politici-economici del nostro tempo.
Dopo Villa Manin, Villa Otellio-Savorgnan, Cividale, lo SMO di s. Pietro al Natisone, Lerici e S.Terenzo in Liguria, Pordenone e Gorizia, La Fine del Nuovo arriva a Udine, a Palazzo Morpurgo e al Teatro Nuovo Giovanni da Udine con 8 artisti italiani e internazionali: Luca Armigero, Stefano Boccalini, Alen Floricic, Andreja Kuluncic, Oliver Ressler, Stefano Serretta, Jemima Stehli, Clemens Wilhelm.
Inoltre, il 26 gennaio alle ore 18.00 a Ljubljana ci sarà l’ Inaugurazione La Fine del Nuovo Cap.XII@ P74 Center &Gallery Ljubljana.Il dodicesimo capitolo della mostra itinerante d’arte contemporanea organizzato da Neo associazione ospitata dalla P74 Gallery in cui verranno esposti i lavori di Stefano Giuri, Matias Guerra, Filippo Manzini, Davide Skerlj e Goran Trbuljak.
Constraint Magazine ha intervistato l’ artista e attivista Andreja Kulunčić (leggi la sua biografia qui).
-Cosa significa per te “La Fine del Nuovo”?
La “nascita della realtà”, della vita di ogni giorno piena riempita di traumi; per molti, piena dei traumi degli altri, qui e ora, che accogliamo come una parte costituente di noi stessi.
-Come descriveresti la tua ricerca artistica in poche parole?
L’esplorazione di nuovi modelli di sociabilità e situazioni comunicative, un interesse per temi socialmente impegnati, confronto con un pubblico diverso, e collaborazione per progetti creativi. Di solito imposto le mie reti collaborative interdisciplinari, considerando il lavoro artistico come un processo di cooperazione, cocreazione e autoorganizzazione e spesso chiedo al pubblico di partecipare attivamente, di reagire e di “finire” l’opera. Lavorando nelle aree marginali dell’opposizione e concentrando la mia critica sui valori centrali delle istituzioni immaginarie delle società globalizzanti e dalle divisioni condizionate da esse, la mia produzione artistica si concentra sulla capacità dell’arte di offrire una base polemica per ripensare e dissolvere certe forme istituzionali e crearne di nuove.
-Puoi definire l’arte in una frase? Ed in due frasi?
L’arte ci da un mezzo di resistenza, fuori dalle strutture di una classica organizzazione politica, mercato o stato e anche per attivare le nostre potenzialità di costruire la società.
L’arte può cambiare la società.
-Stai lavorando a qualcosa di nuovo in questo momento? Quale sarà la tua prossima esibizione?
Ora mi sto concentrando sul termine “collective stranger” straniero collettivo, in un nuovo lavoro basato sul processo collaborativo. Il termine è usato nella teoria per il concetto di identificazione dei gruppi minoritari dalla parte della popolazione dominante.
Non è sempre facile predire chi o quando si diventa uno straniero collettivo. Il gruppo identificato spesso è oggetto di violenza, ci possono essere diversi attacchi al corpo fisico di un gruppo minoritario da parte della popolazione dominante (vedi: Arjun Appadurai, Fear of Small Numbers, un saggio sulla geografia della rabbia, Duke University Press, 2006), o possono essere vittime di cambiamenti legali legati all’immigrazione, visti di lavoro, cittadinanza etc. che riducono i diritti acquisiti (l’abilità di muoversi, lavorare, la riunificazione famigliare, il diritto di votare nella comunità locale, ecc.).
Lo straniero collettivo è spesso un piccolo gruppo di un’ altra religione, razza, nazionalità o orientamento sessuale. Il sentimento di “incompletezza” che si sveglia nella maggioranza della popolazione, dirige il parossismo della violenza verso loro. Ma la minoranza è solo un sintomo, il vero problema sta nelle differenze che vengono presentate nell’ambiente sociale, spesso a causa della manipolazione degli stereotipi e creando paura.
Puntando a trattare questo tema complesso ho deciso, con cinque donne sopra i 40 anni con diverse identità (che possono essere definite come “straniere collettive” nel contesto Croato) di create un collettivo attraverso il quale possiamo agire (e reagire) rispetto ai diversi problemi che le identità minoritarie affrontano qui.
In questo momento stiamo lavorando su un video e su una serie di poster per i media mainstream che trattano i problemi che cinque diverse minoranze (donne Rom, donne di colore, in cerca d’asilo, donne Musulmane che indossano l’hijab e lesbiche) affrontano ogni giorno. Le opere non sono per una specifica esibizione, ma sono pensate per essere attivati direttamente nel tessuto sociale.
La prossima esibizione a cui sto partecipando con lavori già esistenti apre il 27 gennaio al museo di arte contemporanea di Rijeka ed è un’esibizione di gruppo sulle migrazioni temporanee.
-A chi o a cosa ti ispiri per i tuoi lavori?
Da una parte all’ingiustizia sociale e dall’altra alle persone che vi si oppongono nella loro vita quitidiana.
-Qual è l’esperienza più importante nel tuo percorso artistico?
Il viaggio di un anno in America Latina dopo aver finito gli studi. Per la prima volta mi sono trovata davanti ai crimini del passato coloniale Europeo, che ha marchiato il mio percorso artistico.
Andreja Kulunčić – biografia
La pratica artistica di Andreja Kulunčić è basata sulla esplorazione di nuovi modelli di socialità e di comunicazione delle situazioni, l’interesse per i temi socialmente impegnati, confronto con diversi tipi di pubblico, e la collaborazione su progetti collettivi. Si imposta le proprie reti interdisciplinari, visto il lavoro artistico come ricerca, processo di cooperazione e di auto-organizzazione. Si chiede spesso il pubblico a partecipare attivamente e “finire” il lavoro. Alcuni dei soggetti frequenti di Kulunčić sono correlazioni tra l’economia, la transizione, il femminismo e il razzismo. Arte inteso come ricerca, per cui i risultati di ricerca non sono primari, ma sono piuttosto uno dei componenti integrali, lo sfondo sul quale si svolge produzione artistica. Il interdisciplinare in cui specifiche competenze artistiche sono integrate da competenze complementari da altre aree è un elemento importante della pratica artistica di Andreja Kuluncic, le cui opere sono quasi regolarmente realizzata in collaborazione con sociologi, filosofi, scienziati, programmatori, designer, o antropologi. Operando nelle aree marginali di opposizione e di messa a fuoco la sua critica ai valori centrali delle istituzioni immaginari di globalizzazione società e divisioni condizionate da loro, la sua produzione artistica suggerisce la capacità dell’arte di offrire motivi polemici per il ripensamento e la dissoluzione di alcune forme istituzionali e la creazione di nuovi. Il suo lavoro è stato presentato in occasione di fiere internazionali, tra cui: Documenta11 (Kassel), Manifesta4 (Frankfurt / Main), 8.Istanbul Biennale (Istanbul), Liverpool Biennial04 (Liverpool), 3.Tirana biennale (Tirana), 10.Triennial-India (New Delhi), tra gli altri. Al mostre personali, tra cui: Museo Universitario Arte Contemporáneo (Città del Messico), Museo MADRE (Napoli), Salone del Museo di Arte Contemporanea (Belgrado), Art in General (New York), Artspace Visual Art Canter (Sydney), Darat Al Funun (Jordan), Galleria NOVA, Galleria Miroslav Kraljevic e Galleria Forum (Zagabria). Al mostre collettive in musei, tra cui: Whitney Museum of American Art (New York), PS1 (New York), Walker Art Centre (Minneapolis), Museo MUAC (Città del Messico), Palais de Tokyo (Parigi), Museo Garage (Moskva) , Kumu Art Museum (Tallin), Museo di Arte contemporanea (Zagreb), Museo di Arte contemporanea (Lubiana), Zacheta National Gallery of Art (Warshaw), Museo di Arte moderna e contemporanea (Rijeka), Lentos Kunstmuseum (Linz), Museo d’Arte moderna (Saint-Etienne), Museum Ludwig (Budapest). residenze d’artista: MUAC & Soma a Città del Messico, l’arte in generale a New York, Walker Art Center di Minneapolis, Artspace di Sydney, 10 ° Triennale-India a New Delhi e Jaipur.She vive in Croazia, dove insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Zagabria, Dipartimento di New media.
La Fine del Nuovo cap IX
Palazzo Morpurgo
dal 17.12.2016 al 15.1.2017
La fine del Nuovo cap XII
P74 Gallery, Ljubljana
dal 26.01.2017 al 16.02.2017
What does “the end of the new” mean for you?
The “birth of reality”, of the everyday life full of trauma; for many, full of the trauma of the others, here and now, which we embrace as a constituent part of ourselves.
How would you describe your artistic research in few words?
Exploration of new models of sociability and communication situations, an interest for socially engaged themes, confrontation with different audiences, and collaboration on collective projects. I usually set up my own interdisciplinary networks, seeing artistic work as a process of cooperation, co-creation and self-organization, and I often ask the audience actively to participate, to react, to “finish” the work.
By operating in the marginal areas of opposition and focusing my critique on the central values of imaginary institutions of globalizing societies and divisions conditioned by them, my artistic production focus on the capability of art to offer polemical grounds for the rethinking and dissolution of certain institutional forms and the creation of new ones.
Can you define art in one sentence? and in two sentences?
Art gives us a tool for resistance, outside the structures of any classical political organization, market or state, and also activate our creative potentials for building the society.
Art can change the society.
Are you working on something new right now? What’s your next exhibition?
I am now focusing on a term “collective stranger” in a new collaborative process based work. The term is used in the theory for the concept of identification of minority groups by the dominant population. It is not always easy to predict who and when becomes a collective stranger. The identified group often is a target of violence, there can be a numerous attacks on the physical body of a minority group by the dominant population (see: Arjun Appadurai, Fear of Small Numbers, An Essay on the Geography of Anger, Duke University Press, 2006), or they can be a target of the legal changes related to immigration, work visas, citizenship etc. which reduce the already acquired rights (the ability to move, work, family reunification, the right to vote in the local community etc.)
Collective stranger is often a small number of other religion, race, nationality or sexual orientation. The feeling of “incompleteness” that its wakes up in the majority population, pulls the paroxysm of violence against them. But the minority is only a symptom, the real problem lies in the differences that are presented in the social environment, often by manipulating stereotypes and creating fear.
Aiming to address this complex theme I decided with five women over 40 years old with different identities (which can be defined as “collective strangers” in Croatian context) to create a collective through which we can act (and react) to different problems the minority identities face here. We are currently working on a video piece and a series of posters for the mainstream media which addresses the problems of five chosen minorities (Romani women, women of color, asylum seeker, Muslim women wearing hijab and lesbians) face in everyday life. The works are not for a specific exhibition but for a direct activation in a real social fabric.
The next exhibition I am participating with an already existing work opens at 27th of January at the Museum of Contemporary Art in Rijeka, it is a group show about temporary migrations.
What or who is your inspiration for your works?
Social injustice on the one hand, and people who oppose it in their daily lives on the other.
What was the most defining experience in your artistic path?
One-year long trip to Latin America after finishing my study. For the first time I was faced with the crimes of the European colonial past, which marked my artistic path.