“Somewhere between lies and truth lies the truth”.
Treasures from the Wreck of the Unbelivable a Palazzo Grassi, Venezia, si apre con questa chiave di post verità ed è un racconto che, nella prima pagina della guida, inizia così:
Giù a cinque braccia giace tuo padre.
Le sue ossa ormai son corallo,
E perle gli occhi son già.
Di lui quanto mai può perire
Un mutamento marino subisce
In ricca cosa, in cosa strana.
Sono le parole di Ariel, lo spirito dell’aria che ne La Tempesta di Shakespeare narra di un naufragio simulato dalle arti magiche del duca Prospero che è il parallelo di questo naufragio, creato dalla magica arte del re delle aste Damien Hirst.
Ci si deve quindi preparare a una mostra-fiaba in cui cercare la verità è insensato, poiché funziona solo se si decide di credere alla sua narrazione. A volerci credere dunque è la storia dell’antico naufragio della grande nave chiamata Incredibile e ne espone il prezioso carico riscoperto: l’imponente collezione appartenuta allo schiavo liberato Aulus Calidius Amotan, destinata a un tempio del Dio Sole. Nel corso del 2008, questo leggendario tesoro, rimasto sommerso nell’oceano Indiano per quasi duemila anni, è stato scoperto al largo della costa orientale dell’Africa e lentamente riportato alla luce.
Il 2008 è un anno simbolico per Hirst: è il momento in cui l’artista, dato per finito da critica e mercato, riemerge dal suo personale abisso mettendo all’asta i suoi tesori e stabilendo il record del maggior incasso mai registrato da Sotheby’s. Il tutto assunse un eco estremamente provocatorio perché avvenne la stessa sera del fallimento di Lehman Brothers, che dette inizio alla crisi economica.
Hirst gioca su questa sua reputazione di squattrinato Young British Artist che diventa artista-collezionista milionario presentandoci il suo alter-ego, lo schiavo Amotan (i cui busti sono in realtà ritratti dello stesso artista, ambiguamente etichettati come “Il Collezionista”). Una volta liberato, Amotan si arricchì enormemente e iniziò a collezionare una serie di tesori senza precedenti, che per valore e prestigio sono accomunabili ai Koons posseduti oggi da Hirst. (Sul rapporto tra i due artisti c’è questa interessante intervista della BBC).
Per Martin Bethenod, Direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Hirst “ha inventato non soltanto le opere, ma anche l’universo da cui esse procedono”. E nel suo universo anche il tempo e lo spazio sono a misura di fiaba. I tesori infatti paiono provenire dai quattro angoli del pianeta, che sicuramente un uomo vissuto ad Antiochia nel I sec d.C. aveva qualche difficoltà a raggiungere (come poteva acquistare una gigantesca Piedra del Sol azteca da un’America scoperta 1300 anni più tardi?).
È la dimensione temporale però quella che più ci spiazza: se con una visita frettolosa la storia della nave affondata potrebbe anche reggere, soffermandosi sulle singole opere, specialmente nella seconda parte, si verifica un cortocircuito nella mente del visitatore, già provata dal cercare di credere all’Incredibile.
Tra le kitschissime divinità greche in lapislazzuli e i Buddha di giada infatti compaiono miti contemporanei, forse un po’ più profani ma non meno amati: Topolino, Pippo, Mowgli e compagnia. La loro presenza naturalmente sgretola la narrazione del naufragio di 2000 anni fa, oppure in qualche modo la arricchisce. È come se il naufragio non fosse esistito in un momento preciso che ci precede, ma fosse anche una profezia di qualcosa che avverrà, in un tempo ciclico in cui vi è sempre qualcuno che colleziona tesori, li perde e infine qualcun altro che li ritrova. I tesori dello schiavo Amotan sono stati salvati da Hirst, ma qualcuno salverà poi i suoi?
Dipenderà da quanto l’artista saprà farci credere alla sua arte, perché, certo è una mostra che funziona solo se si decide stare al gioco, ma poi è la storia che deve incantare fino a voler assolutamente sapere come va a finire. Invece qui, dopo un po’ di meraviglia per i video subacquei (bellissimi), le dimensioni mastodontiche e lo scintillio delle pietre preziose, la magia svanisce. E tu ti ritrovi, dopo aver visto forse metà delle 189 opere in mostra, un po’ nauseato e un po’ stufo, senza più voglia di giocare.
Articolo di Elisabetta Zerbinatti
Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Venezia
Dal 9/04 al 3/12/2017
Aperto dalle 10 alle 19
Chiuso il martedì