Le attività multietniche del Borgo Stazione di Udine non si concentrano esclusivamente su Via Roma e laterali; esse sono infatti spalmate sul territorio, situate in zone periferiche e slegate dal centro nevralgico del quartiere. Questo però non fa di loro un frammento insignificante della situazione sociale, culturale ed economica del Borgo; anzi, il fatto stesso che siano più dislocate del previsto dimostra quanto le realtà commerciali di varie etnie si siano sedimentate nel quartiere, imparando (con più o meno difficoltà) a convivere con i cittadini della zona.
Tashia, proprietaria di un negozio che vende prodotti tipici originari del proprio paese, il Ghana, ci ha raccontato la sua esperienza da commerciante e abitante del Borgo…
Tashia, da quanto tempo hai aperto questa attività?
Sono più o meno sei anni. Solo da due ho aperto qui nel quartiere però, prima eravamo in piazzale XXIII Marzo, proprio qua dietro.
Siamo sempre rimasti in zona ecco…
Ti va di raccontarci un po’ la tua esperienza con il quartiere in questi ultimi anni? Ignoriamo il Covid per ora.
Quando eravamo dall’altra parte stavamo molto bene. Qui la situazione è un po’ così…Ogni giorno passano i Carabinieri, la polizia locale, c’è sempre qualcuno che chiama per qualcosa che non facciamo. Una volta sono venuti perfino i N.A.S. …
A quanto pare non siamo i benvenuti qui in Via Manzini, è come se avessero paura della gente di colore. Appena sentono qualche rumore o un po’ di trambusto chiamano le autorità, come se ci fossimo solo noi in questa via.
Fanno le ronde, i “giri di controllo” dicono… ma è evidente che passano solo per controllare noi. Ho avvisato anche Umberto della Biblioteca dell’Africa di questa cosa perché ci mette un po’ a disagio sinceramente…
Lui fa quello che può, ma è da solo.
Poi non so come sia la situazione nel resto del quartiere. Forse passano spesso per di qua a causa del parco Martiri delle Foibe; c’è tanta gente di colore e a quanto pare alle persone questo non piace.
E dando uno sguardo un po’ più approfondito all’ultimo anno e mezzo? Il Covid ha peggiorato questi problemi o ne ha portati altri?
Direi entrambe le cose. C’è pochissima affluenza di persone qui. La gente non gira più come prima chiaramente…Ci sono giorni in cui non entra nessuno in negozio.
Durante il primo lockdown siamo rimasti chiusi. E anche durante alcune zone rosse e arancioni era inutile tenere aperto, perché la gente continuava a chiamare pattuglie e poliziotti e avere costantemente le autorità nei paraggi non aiuta…
Tra affitto e bollette, sia del negozio sia di casa nostra, non avrebbe avuto senso tenere aperto, anche se per legge avremmo potuto, essendo il nostro anche negozio di alimentari.
Il problema della diffidenza da parte degli inquilini italiani si è solo accentuato, forse pensano che non siamo in regola con l’igiene o con le varie normative… Mentre invece tutto ciò che facciamo o vendiamo è sicuro e a norma. Qui abbiamo tutti prodotti africani, ghanesi per la precisione, abbiamo un po’ di tutto. Abbiamo dei fornitori da Brescia con i quali collaboriamo principalmente per gli alimentari, ma per quanto riguarda stoffe, vestiti, cappelli e altri articoli, prendiamo tutto noi dal Ghana, quando riusciamo ad andarci.
La gente, quella più diffidente, vede tutto questo e si preoccupa, di che cosa esattamente non lo so…
Secondo te c’è veramente necessità di queste ronde? C’è effettivamente una situazione problematica per la quale bisogna chiamare così spesso le autorità?
Succede un po’ di tutto a dir la verità. Girano molti afghani qui, che spesso fanno baruffa, litigano, bevono, fanno chiasso. È anche per quello che dicono che il parco è pericoloso, ma noi non c’entriamo e questo la gente sembra non capirlo. Avevano raccolto varie firme per sfrattarci, non solo noi come negozio. La petizione era rivolta anche alle altre attività della via, alla macelleria qui a fianco che è gestita da un ragazzo islamico e al negozio afghano in fondo alla strada. Per fortuna la petizione non è andata a buon fine.
Quindi abbiamo appurato che i rapporti con gli italiani non sono questo granchè per voi. E con le altre etnie che tipo di relazione c’è, a patto che ce ne sia una?
Si con gli italiani è più difficile, sono più restii nel relazionarsi con noi… Io ho vissuto a Brescia per tanto tempo, qui a Udine è tutto diverso. Le persone sono più chiuse, più diffidenti, fai fatica a parlare e a fare amicizia. Anche al bar è difficile, anche se ora per fortuna la proprietaria si è un po’ sciolta. Penso che Brescia sia più multiculturale rispetto a Udine, anche storicamente parlando, i cittadini sono stati abituati in maniera diversa a relazionarsi con lo straniero. Per quanto riguarda le persone appartenenti ad altre etnie che abitano o passano per di qua, invece, sono spesso molto curiose, vedono tutti questi colori ed entrano per vedere di che cosa si tratta.
Abbiamo pochi rapporti con loro però… C’è un negozio di afghani in fondo alla via e molti di loro (dei quali vi parlavo prima) si radunano là. Quando si condivide lingua, cultura, provenienza è più facile socializzare, chiaramente…
Come mai avete scelto questa zona, un paio di anni fa?
Il vecchio proprietario in Piazzale XXIII Marzo ci avrebbe aumentato l’affitto e non potevamo permettercelo. Ho parlato con Umberto, abbiamo provato in uno spazio vicino alla biblioteca dell’Africa ma era troppo piccolo. Così abbiamo trovato questo, è stata più una questione di necessità che di preferenza. I proprietari sono molto gentili però. Sono italiani, ma non hanno nessun tipo di problema con noi, a differenza di chi qua non ci vuole. Un giorno mi sono ritrovata la vetrina rotta, 700 euro di danni.
Il problema è che ne andiamo sempre di mezzo noi. È un po’ dura la situazione, arranchiamo un po’… soprattutto a causa del Covid.
È triste sentire queste cose. Al netto di tutto ci fa piacere che almeno Umberto della Biblioteca vi dia una mano, come detto prima non può fare tutto da solo, ma almeno aiuta voi e altri in situazioni di necessità. Ciò che fa è importante, e dovrebbe essergli riconosciuto.
Esatto. Qui a Udine è l’unico punto di riferimento che ho…
Dallo scambio di idee e opinioni con Tashia emerge un’urgenza della quale si è già parlato più volte all’interno del progetto: serve coesione, e per raggiungere tale obiettivo (il cui successo non è per nulla scontato) c’è necessità di comunicazione.
Umberto Marin, proprietario della Biblioteca dell’Africa, realtà che dal 2016 si impegna a promuovere iniziative culturali la cui azione è mirata al Borgo Stazione di Udine, ricopre il ruolo da mediatore tra le varie culture ed etnie. Una persona sola però, o una piccola associazione, non possono cambiare radicalmente le cose esclusivamente con le proprie forze. Serve un lavoro collettivo, comunitario, da parte di tutti i cittadini. Il dialogo che si verrebbe a creare genererebbe consapevolezza e coscienza di una realtà (quella del Borgo e dei suoi mille e più lati) che non deve essere ignorata, ma valorizzata, coltivata e mantenuta.
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