Giovedì 4 aprile, al Teatro Comunale Palamostre di Udine, c’è stata la serata di apertura del Blu Jazz Club – il nuovo jazz club udinese. Per l’inaugurazione del locale, sito nella sala Carmelo Bene del teatro in piazzale Paolo Diacono, sono stati chiamati i ragazzi del Conservatorio di Udine, che hanno debuttato con un tributo ad Antonio Carlos Jobim, il grande artista della bossa nova. All’ensemble del Dipartimento di Musica Jazz, l’Udine Jazz Collective, per l’occasione si è unito anche un quartetto d’archi del Dipartimento di Musica Classica, con l’obiettivo di trasmettere al pubblico l’atmosfera magica della bossa nova.
Nata in Brasile alla fine degli anni ’50, la bossa nova tra le proprie origini dalla samba, genere musicale che si sviluppò a Rio de Janeiro (allora capitale del Brasile) agli inizi del Novecento, sotto l’influenza degli afrobrasiliani immigrati da Bahia, lo stato brasiliano affacciato sull’Atlantico da cui entrava la maggioranza degli schiavi provenienti dall’Africa. La samba, infatti, si forma a partire dall’incontro di varie etnie musicali africane (soprattutto “yoruba” e “nagò”) e i ritmi delle liturgie appartenenti alle religioni africane. La sua origine è legata a quella del “candomblé”, la religione afrobrasiliana che si sviluppò a Salvador di Bahia attraverso le figure dei sacerdoti africani deportati in Brasile come schiavi. Per questo motivo, nei testi della samba si trovano spesso riferimenti alle divinità del “candomblé”.
Grazie al rapido successo musicale di questo nuovo genere, ben presto vediamo la samba uscire dai ghetti neri dei porti di Bahia, per arrivare a Rio de Janeiro dove trova la sua massima espressione. Tra i suoi interpreti più importanti troviamo anche Joao Gilberto ed Antônio Carlos Jobim, i due artisti che insieme al poeta Vinicius de Moraes diedero vita al genere musicale della bossa nova, quello per l’appunto di cui ci hanno resi partecipi i ragazzi e le ragazze del Tomadini.
Gli anni in cui si sviluppa la bossa nova sono molto diversi da quelli della deportazione di schiavi africani in Brasile. Sono gli anni ’50, gli anni del così detto “desenvolvimentismo brasileiro” (da “desenvolvimento”, parola portoghese che significa ‘sviluppo’), ovvero una fase storica di enorme crescita economica basata sulla fiducia nel progresso tecnico-industriale come fondamento dello sviluppo generale del Paese. Al potere c’è Juscelino Kubitschek de Oliveira, candidato del partito Social Democratico che seppe pacificare gli animi, oltre a dare un forte impulso alla crescita economica del Brasile soprattutto attraverso l’industria automobilistica. Sul piano internazionale promosse il rilancio dei rapporti diplomatici fra gli Stati Uniti e i paesi dell’America latina.
È in questo contesto particolare, dunque, che si forma la bossa nova: una fase storica determinata da un intenso e rapido sviluppo economico, favorito da un generale periodo di pace che ha permesso la ripresa dei contatti con l’Usa.
Di tutto questo troviamo traccia nei testi delle canzoni, testi che trattano perlopiù temi leggeri e disimpegnati e che raccontano la spensieratezza della vita carioca a Rio, suggerendo atmosfere intime e serene. Ad esempio, Desafinado, uno dei testi più celebri scritti da Antônio Carlos Jobim, parla di come anche le persone stonate abbiano un cuore, e che nella bossa nova c’è spazio anche per loro:
“Se tu insisti nel classificare il mio comportamento come antimusicale, io anche mentendo devo argomentare che questo è bossa nova, che questo è molto naturale. Quello che tu non sai e neppure puoi immaginare, è che anche gli stonati hanno un cuore” (Desafinado).
Ma per fortuna gli studenti di canto del Tomadini sono preparati e non c’è bisogno di mentire per argomentare che giovedì sera se la sono cavata molto bene, senza stonature, forse con il cuore. Anzi, da questo punto di vista, si può dire che l’offerta musicale è stata al di sopra delle aspettative: davvero molte ed encomiabili le voci chiamate a esibirsi sul palco del Palamostre. Erano in sei, per un totale di 18 pezzi, che venivano intrepretati a turno uno a ciascuno. Cinque le cantanti donne (Nicoletta Taricani, Letizia Ranalletta Felluga, Vilma Ramírez Álvarez, Miriam Foresti, Aurora Rays), e una sola la voce maschile (Francesco Imbriaco). Nell’ultimo brano, invece, tutte le voci si sono unite in un unico energico canto, portando la delicatezza della bossa nova dalle atmosfere intime dei suoni soffusi all’euforia tipica del gran finale.
“Ah, che stupidaggine che hai fatto, cuore noncurante. Hai fatto piangere di dolore il tuo amore, un amore così delicato. Ah, perché sei stato così fragile, così senz’anima. Ah, il mio cuore che non ha mai amato, non merita di essere amato.
Vai cuore mio, ascolta la ragione, usa solo la sincerità. Chi semina vento, dice la ragione, raccoglie sempre tempesta. Vai cuore mio, chiedi perdono, perdono appassionato. Vai, perché chi non chiede perdono, non viene mai perdonato” (Insensatez).
Ad Antônio Carlos Jobim, venuto a mancare l’8 dicembre 1994.
Articolo e immagini di Elvis Zoppolato