Dopo l’articolo sull’action Painting Di Jackson Pollock, La rubrica del Contemporaneo prosegue con la ricerca mistica di Mark Rothko!
Se da un lato l’Espressionismo Astratto americano si sviluppa, tramite l’Action Painting, con l’azione e con l’impulso gestuale, in un’improvvisa creatività dell’artista legata al suo movimento attorno e sopra la tela; l’altro ramo, il Colorfield Painting, è legato allo studio del colore come entità autonoma che si esprime solo quando è libero dall’imitazione della realtà. Yves Klein, Barnett Newmann, Mark Rothko utilizzano campiture molto ampie, talvolta anche monocrome e un tipo di tela molto grossolana e ruvida. Dettaglio importante, introducono la realizzazione di opere di grande dimensioni.
“ Quando si realizza un quadro grosso si è al suo interno, non si può decidere nulla” sosteneva Mark Rothko.
Questi artisti si legano all’Action Painting grazie agli studi iniziali sui miti e sui simboli, dai quali poi si distaccano e si evolvono, raggiungendo la convinzione che il senso tragico dell’esistenza va rappresentato tramite forme semplici e non narrative. Per questo motivo le emozioni possono essere espresse attraverso l’assolutezza del colore.
La biografia di un artista incide molto spesso sul suo percorso e sulla sua crescita artistica. Marcus Rothkowitz di origini lettoni porta, nel suo bagaglio emotivo e personale, l’esilio della propria famiglia ebraica dalla sua terra d’origine. Fa parte di quel gruppo di emigrati che agli inizi del ‘900 è stato costretto a lasciare l’Europa. Per questi motivi, l’artista ha basato il suo percorso artistico sulla volontà di esprimere e rappresentare la condizione umana. Non era interessato a un’opera decorativa o al rapporto tra colori e spazio o alla bellezza in sé. Può non essere evidente in maniera immediata nelle sue opere e, per questo motivo, l’artista può essere interpretato in maniera leggera. Di primo acchito posso sembrare solo enormi opere colorate. Tuttavia, racchiudono e sintetizzano un percorso partito dal figurativo fino ad arrivare, per toccare gli animi degli osservatori, alla sintesi di tutte le forme e di tutte le rappresentazioni: il colore. Nel 1949 il Moma di New York acquista l’Atelier Rosso di Henry Matisse. Per Rothko rappresenta la svolta artistica. Dalla contemplazione di quell’opera l’artista sfocia nell’esaltazione del colore come mezzo espressivo, a prescindere dalla realtà, e la consapevolezza che il colore è l’unico soggetto dell’opera.
Rothko raggiunge la sua maturità artistica tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni’50; lentamente le forme vengono assorbite dal piano, perdono la loro identità e si trasformano in puro colore. Fa uso di spugne, non di pennelli e le tempere sono molto diluite di modo tale da poter dare una sensazione di trasparenza e immaterialità. Sono sempre campiture orizzontali su tele verticali, mai il contrario. I contorni sono sempre sfumati e non definiti. La sua idea era di dialogare con il pubblico in maniera elementare per raggiungere direttamente le emozioni senza l’ausilio di referenze culturali o sociali.
Rothko riceve la laurea ad honoris causa all’Università di Yale nel 1968 perché “ è uno dei pochi artisti che possono essere considerati tra i fondatori di una nuova scuola pittorica americana […]. Caratteristiche di tali opere sono la semplicità delle forme e la spettacolarità dei colori. In esse ha realizzato una grandiosità spirituale che ha le proprie basi nella tragica fatalità di tutta l’esistenza umana”.
Il suo ultimo lavoro prima di suicidarsi, nel 1970, è stato la realizzazione della Rothko Chapel a Houston. I suoi ultimi dipinti sono cupi e rigorosi, con l’utilizzo di cromature austere e scure.
Se l’articolo non vi ha convinti sulla potenza della pittura di questo artista, vi consiglio una visita alla Tate Modern di Londra. Ospita il gruppo di grandi tele nere di Mark Rothko che normalmente sono esposte assieme in una sala apposita. Solo trovandovi davanti a loro potrete capire la profondità che trasmettono.
Nel prossimo articolo salperemo per tornare nel vecchio mondo, rimarremo ancorati al filone espressionista. Esso rappresentato, tuttavia, in maniera completamente diversa dai pittori americani. Parliamo di Francis Bacon.