Si conclude con “il Padre” di August Strindberg, diretto da Gabriele Lavia, il ciclo di spettacoli (iniziato con “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Re Lear”) legati dal tema “Il peso della realtà, re senza Terra” al Giovanni da Udine.
“Il Padre” è andato in scena il 21,22 e 23 marzo e, come l’anno scorso con “L’uomo dal fiore in bocca”, Gabriele Lavia ha lasciato l’impronta del suo passaggio.
La tragedia di August Strindberg orbita intorno all’incertezza del capitano Adolf, interpretato sempre da Lavia, della sua paternità. Il dubbio viene instillato proprio dalla moglie Laura (Federica Di Martino) con la quale il capitano già da tempo si scontra per decidere quale educazione impartire alla figlia Berta (Anna Chiara Colombo). Così, per spuntarla, Laura mette in discussione una delle poche certezze che un uomo può avere, aggiudicandosi il primato dell’educazione sulla figlia, ma nel frattempo compiendo un delitto psichico. Bisogna precisare che nel 1877 (l’anno in cui viene composta la pièce) non era ancora possibile fare il test del DNA per appurare la propria paternità. Il delitto psichico è per l’appunto la perdita della sicurezza di essere padre e, questo, condurrà Adolf prima alla pazzia e poi alla morte per apoplessia cerebrale; questa ultima lo stroncherà dopo che egli avrà pronunciato la parola “stelle”, un riferimento biografico: anche l’autore della tragedia prima della sua dipartita pronuncerà tale parola.
Questo ultimo accorgimento, come tanti altri, nasce dall’intenzione del regista di marcare e sottolineare alcuni passaggi fondamentali dello spettacolo. Lo stile di Lavia comunque non si esaurisce qua, perché anche la sua scelta per la scenografia ha impattato tanto quanto le sottolineature e le marcature. Infatti, lo spettatore accorto, già nel momento in cui vede aprirsi il sipario, noterà una atmosfera tetra che preannuncia una tragedia: luci basse e soffuse, notte inoltrata e una tempesta di neve che infuria fuori da una finestra localizzata al centro del fondale. Tuttavia, ciò che persuaderà della imminente tragedia pure lo spettatore meno attento è l’arredamento del salotto del capitano: pareti tappezzate da un panno rosso sangue che motiverà il prossimo delitto (psichico) e oggetti sghembi in procinto a sprofondare, come le certezze di Adolf.
L’interpretazione della tragedia da parte del regista/attore dimostra l’incastro perfetto tra la scenografia e la rappresentazione dell’interiorità del protagonista: una scelta oculata che tende a sottolineare la poetica di Strindberg, incentrata sulla “drammaturgia interiore”, come ha affermato il critico del teatro Roberto Canziani all’appuntamento “Casa teatro”, tenuto in occasione dello spettacolo in questione.
L’armonia nella follia non si sarebbe affatto verificata se Lavia non avesse mostrato grandi capacità espressive nel trasmettere il disagio e la sofferenza di un padre che non si riconosce più come tale e, allo stesso modo, si meritano il plauso anche la moglie e la balia (Giusi Merli): la prima per aver rappresentato la freddezza e la perfidia, la seconda per aver rappresentato la infantilità e la serenità.
recensione di Gabriele Duria
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