Il progetto dell’appartamento Da Velio dell’albergo diffuso di Paluzza di Ceschia&Mentil vuole essere una riflessione e riscoperta sul tema dell’abbandono che le zone montuose del nostro Paese hanno subito negli ultimi decenni, con le conseguenze di un tragico impoverimento socio-economico ed una grave perdita del patrimonio storico-architettonico che abita(va) le stesse aree.
La natura irreversibile di questo rapido processo ha comportato il disuso di un enorme volume costruito, disperso su tutto il territorio che si palesa oggi come una scomoda e complicata eredità, verso cui la pratica del disinteresse si rivela essere la più diffusa.
In rifiuto a tale inerzia, il programma dell’”Albergo diffuso”, promosso dalla Regione Friuli Venezia-Giulia e finanziato dalla Comunità Europea, si pone come obiettivo il recupero e riuso del patrimonio architettonico abbandonato, proponendo una forma di attività turistica esplosa sul territorio e ad esso compatibile, con lo scopo di innescare un processo di rivitalizzazione di quelle aree drammaticamente precipitate nell’oblio.
Sito in località Faas, nel cuore delle Alpi Carniche e territorialmente compreso nel Comune di Paluzza (in provincia di Udine), il progetto dello studio Ceschia&Mentil converte uno stavolo esistente in alloggio turistico a servizio dell’Albergo diffuso del Comune di appartenenza. Della struttura preesistente viene conservato unicamente il basamento in pietra, destinato in origine al ricovero degli animali e degli attrezzi; il livello superiore, fatto di assi di legno e adibito a fienile, viene interamente sostituito, dato l’avanzato stato di degrado dei materiali stessi.
Il basamento, per consentirne l’adeguamento strutturale in funzione anti-sismica, viene incamiciato da due lastre di cemento armato ed esternamente rivestito da intonaco con inerti grossi, garantendo un solido appoggio al secondo livello, strutturalmente costituito da un leggero telaio a traversi e montanti in legno controventato da pannelli in OSB (pannelli lignei a lamelle orientate).
Il piano di calpestio del livello superiore è posto a 1,20 m sopra al piano di campagna: tale dislivello, che assicura una protezione del piano primo dalla coltre di neve che si deposita durante la stagione invernale, viene vinto grazie ad un podio in calcestruzzo a vista non aderente alla cellula residenziale, costituendo il nesso di relazione tra l’unità abitativa stessa e la strada sterrata di avvicinamento che vi corre affianco, mediando tra la scala architettonica e quella territoriale.
Varcato l’ingresso, ricavato in una nicchia protetta che sembra voler invadere il volume abitato, si raggiunge la zona giorno, costituita da una piccola area cottura ed uno spazio per il consumo dei pasti, entrambi ricavati in un solido dipinto di nero, a sottolinearne l’indipendenza formale e funzionale rispetto agli altri ambiti domestici, interamente rivestiti da listoni in abete.
Il primo piano si compone inoltre di un soggiorno, vero fulcro dell’intera residenza: questo diventa il luogo della chiacchiera, del riposo e della meditazione, in diretta comunicazione con il paesaggio montano grazie ad un ampio finestrone aggettante privo di telaio che si qualifica come un quadro dinamico che introietta un ambiente estremamente instabile quale è quello montano.
Il livello superiore è completato da un vano tecnico accessibile solamente dall’esterno, la cui porta, raggiungibile grazie al prolungamento del podio in cemento, è ottimamente mimetizzata nel rivestimento dell’alloggio, confermando la chiara gerarchia degli ingressi, entrambi ricavati nel prospetto fronte strada.
Dal soggiorno, una scala rivestita di legno che stabilisce la continuità dei materiali di rivestimento della pavimentazione del livello superiore con il soffitto di quello inferiore, conduce alla zona notte composta da un bagno, una camera e da un’intima alcova, separata dall’ambiente contiguo da un semplice tendaggio in corrispondenza del quale il limite viene rimarcato da un leggero dislivello.
Durante la stagione fredda, l’ospite può dedicarsi al sonno in uno spazio soppalcato ricavato al di sopra della cucina, protetto dalle ampie falde della copertura e accessibile da una botola servita da una scala a pioli, sfruttando così la risalita ascensionale del calore prodotto dalla stufa a legna.
I prospetti della cellula residenziale, autonoma sotto il profilo energetico, vengono disegnati dalle bucature che presentano dimensioni e proporzioni eterogenee: esse mettono in continua relazione la dimensione umana dello spazio abitato con quella naturale dell’ambiente esterno, offrendo continuamente scorci diversi e confermando la volontà di porre a fondamento del progetto la fruizione del paesaggio, confermata dalla grande bucatura a sbalzo posta sul fronte a valle.
La scelta dell’involucro esterno, costituito da un semplice tavolato in larice avvitato ad un telaio di supporto in legno, consente la perfetta integrazione del manufatto architettonico nel contesto paesaggistico in cui è inserito: al materiale di rivestimento, privo di trattamenti superficiali e di sofisticate soluzioni di dettaglio, soggetto alle severe condizioni atmosferiche locali, sarà concesso di mutare continuamente il proprio aspetto, assecondando l’agitata mutevolezza del suo intorno. È «l’accettazione dell’irregolarità» come spiega lo stesso architetto Federico Mentil.
L’intervento, ponendosi in maniera critica nei confronti degli oggetti che gli preesistono, si segnala per la sua attitudine a discostarsi nettamente da quell’infinita serie di progetti contemporanei in contesti alpini – o altri contesti in cui forte è la presenza di architetture spontanee – che si illudono di recuperare i valori dell’architettura locale, riproponendone le medesime soluzioni formali e riducendo il progetto ad un puro esercizio stilistico privo di alcun radicamento al luogo, sfuggendo all’autenticità e alla schiettezza del costruire; progetti che trovano un’apparente giustificazione in una serie di regolamenti mirati ad un becero mimetismo privo di alcun significato. Come scrissero Bruno Reichlin e Fabio Reinhart, «una immagine urbana prodotta nel trascorrere dei secoli e dettata da esigenze concrete, tecniche e funzionali, particolari e mutevoli nel tempo, viene ora imposta ai nuovi edifici per forza di legge, come costrizione, poco importa la natura del compito edilizio. Si può concepire una inversione più completa dei rapporti fra causa ed effetto?».
Ai posteri l’ardua sentenza.
Articolo di Damiano Mesaglio